Gli uomini e le loro debolezze. L’affresco teatrale di Alberto Oliva

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Magrolino, non tanto alto, con il naso spiovente e una folta capigliatura castano scuro, Francesco Brandi è un Raskolnikov impeccabile, l’anima delle reinterpretazione di Delitto e castigo incrociata con “I Fratelli Karamazov” che Alberto Oliva porta in scena come regista al Franco Parenti dal 7 al 19 marzo, dopo un lavoro di riadattamento svolto con Mino Manni. A dire il vero tutto il cast degli attori brilla per intensità e capacità di entrare nel ruolo, a partire da Massimo Loreto, un efficace giudice istruttore, il più anziano del gruppo. Sì perché questa rilettura è sapiente e straordinariamente poco sperimentale, sebbene eseguita con grande maestria e ricchezza di particolari anche scenografici e di costume: agli attori resta, insomma, come dovrebbe avvenire nei migliori spettacoli, la maggiore responsabilità nella buona riuscita del lavoro.

Non sono offuscati da una idea registica troppo ingombrante, che li ostacola, e riescono a colpire ognuno per una propria personalità ben spiccata e delineata, evitando così allo spettacolo di risultare 2J8A6801-650x350eccessivamente lungo. La storia è ampia e procede con intensità: un giovane, Raskolnikov, è stato espulso dall’Università e vive in condizioni di estrema indigenza. È sull’orlo della pazzia: passa il suo tempo a letto fantasticando con la mente. Per uscire dal suo immobilismo si decide a compiere un’azione estrema, che lasci un segno. Decide così di uccidere una vecchia che presta denaro a usura. L’omicidio della vecchia e di sua figlia viene svelato agli spettatori solo con le azioni, quasi senza parole, che come quadri movimentano tutta la prima parte di spettacolo: tra luci, ombre, apparizioni. Da quando l’assassinio viene compiuto l’atmosfera è convulsa e implacabile solo nell’animo di Raskolnikov, che trova solo i sensi di colpa ad attenderlo dopo un’azione crudele compiuta senza alcun motivo. All’esterno nessuno si accorge di alcunché: la madre e la sorella pensano al matrimonio di quest’ultima, la bella Sonija continua a sacrificarsi come prostituta pur di mantenere la madre e la famiglia, l’amico Razumichin è sempre vicino a Raskolnikov, ma fino alla fine non riesce a capire il motivo del suo profondo dolore e implacabile instabilità.

Quadri e personaggi che portano a riflettere sulle debolezze che sono di tutti gli uomini, in una ricerca, apparentemente vana, dell’equilibrio e della gioia. Tematiche frequenti nei romanzi di Dostoewskij, e nelle regie di Alberto Oliva, milanese, classe 1984, tre anni di scuola di regia alla Paolo Grassi e una laurea triennale in teatro all’Università Statale di Milano, che senza mezzi termini possiamo definire una figura ancora non sulla bocca di tutti, ma tra le più promettenti e attive del panorama registico teatrale italiano: “Come ‘Il Topo dal Sottosuolo’, andato in scena sempre al Parenti dal 9 al 15 novembre scorsi, anche ‘Delitto e castigo’ è parte del progetto ‘I Demoni’, dedicato proprio a Dostoewskij, autore che da anni Mino ed io siamo studiando –dice Oliva- amiamo l’umanità che traspira dal fastidio verso l’esterno e le difficoltà con cui si scontrano tutti i suoi personaggi. Mi piace esprimere l’insofferenza dei protagonisti di Dostoevskij, è una materia che va continuamente approfondita”.

Alberto Oliva
Alberto Oliva

Uno studio che per Oliva si traduce in scena in un teatro che appare molto classico: “È vero, tra i miei coetanei sono considerato molto tradizionale. Forse perchè sono legato al testo teatrale, e al rapporto col pubblico: voglio portare lo spettacolo al confine tra il realismo e la fantasia, e portare il pubblico quasi al limite della condivisione dell’azione teatrale con gli attori. Per fare tutto ciò è necessaria una squadra con un progetto ben preciso, che il regista deve coordinare”.

E le sembra che manchi al teatro di oggi un vero coordinamento?Sì, la regia non è un vizio. La regia è, appunto, coordinamento, e oggi non c’è più chi coordina la squadra di uno spettacolo, la compagnia. I materiali scenografici possono costare zero, eppure riescono a dare un senso aggiunto se usati correttamente. Al massimo le persone costano, ma il vero teatro si fa anche con poco. È importante l’attenzione su tutti i fronti”.