L’unico dato sicuro, in epoca di crescenti insicurezze, ribattuto ad ogni occasione dai giornali nazionali, è che in Italia si legge sempre di meno, nonostante, per un gioco dei contrari paradossale, le uscite editoriali continuino ad aumentare di anno in anno. Nuovo rinascimento letterario? Più che altro nuovo narcisismo autorale, potremmo dire, legato sia a stati di singola, perdurante e acritica megalomania che, non poco, al giro delle clientele e dei favori interni alla politica e alla nostrana classe dirigente, secondo l’adagio ricorrente che “un libro non si nega a nessuno”, specie poi se è “il figlio di…”, “il nipote di…”, etc.
La prima domanda da farsi è quindi questa: se il libro vive una fase di crisi forse irreversibile e gli abitanti della penisola sono tutto fuorché un popolo di accaniti lettori, perché nel nostro paese i cosiddetti festival legati al mercato editoriale vanno diffondendosi a macchia d’olio, raggiungendo comuni di piccola e media grandezza e molto spesso giustificando l’intervento istituzionale foriero di generosi finanziamenti a pioggia? Era questo forse il segreto vincente per rimettere in piedi l’industria del libro e nessuno ci aveva pensato prima? A giudicare dai dati di vendita che riguardano il numero di volumi venduti nel corso delle suddette manifestazioni pare proprio di no, anzi…
Molti cosiddetti festival, di imprescindibile ambientazione estiva, sembrano infatti funzionare più per il contorno di refrigeranti location in cui si svolgono e per l’occasione che forniscono di evasione serale nel corso della stagione estiva con tanto di optional gastronomico-mangerecci a fare da sfondo determinante e motivante. Kermesse che finiscono per essere dei contenitori omnicomprensivi di “narrativa” o “saggistica” proposta nella maggior parte dei casi da ben noti personaggi televisivi il cui scopo principale sembra più essere quello di venire incontro alle esigenze commerciali delle case editrici che di fornire contenuti. Da minimo comune denominatore fa la tv che indirizza le scelte dei direttori artistici, anteponendo la telegenia e la popolarità dei partecipanti alla qualità e all’effettivo spessore delle loro proposte. In modo da creare un prodotto medio di immediata fruibilità fine a se stessa, eventi affollati che possano inorgoglire gli sponsor o gli assessorati alla cultura che li finanziano e che restino un momento di intrattenimento per famiglie poco esigenti che scorra via senza lasciare il segno.
In simili contesti così smaccatamente ricreativi, infatti, anche eventuali “messaggi cultural- antropologici” di menti raffinatissime finiscono nel calderone della banalità di facile consumo, sterilizzati e svuotati di significato; per non parlare dei temerari interventi di giovani scrittori cui in orari e contesti scomodi si concede la possibilità della passerella, che passano del tutto inosservati e solitari svolgono il loro triste ruolo per dovere di firma. Il fatto è che questo genere di manifestazioni nacquero con un loro senso, per lo più propagandistico per politici e affini, in ben altre ere, con possibilità di spese di regioni e comuni ben superiori: nascondevano nell’ecumenismo formale una sorta di populismo culturale di area progressista in cerca di alternative di piazza alla logica del “Salotto buono”. Sono quindi figlie del buonismo che tutto appiattisce, della semplificazione di linguaggio, della post-ideologia ansiosa di accumunare, di gemellare, di affratellare
senza costrutto, in nome del superamento delle divisioni e delle differenze. Un progetto legato a doppio filo al pensiero unico del politicamente corretto capace di trasformare in monotona mediocrazìa una democrazia vivace e aperta al confronto.
Dinanzi a questo più che preoccupante stato di cose, detto che anche in un contesto così deteriorato come quello dei festival non mancano le eccezioni di riguardo, quali possono essere le vie di uscita? Si potrebbe cominciare probabilmente a consegnare agni annali le rassegne generaliste, gli helzapoppin indistinti, per passare a manifestazioni a tema che svolgano anche un ruolo di servizio pubblico, abituando gli spettatori a leggere, discutere e partecipare su argomenti di attualità che li riguardino o che li aiutino a recuperare la memoria storica e il senso critico, di discernimento, in un qualsivoglia approccio culturale. Separare la cultura dall’intrattenimento, insomma, che può vivere autonomamente di finanziamenti privati, senza l’intervento di Stato o enti locali.
Altro motivo di esistere in futuro i cosiddetti festival difficilmente potranno averlo, se si eccettuano eventuali kermesse annuali che si svolgano in una stagione e forniscano informazioni dettagliate, anteprime, anticipazioni significative su quella seguente. Un’ulteriore ragione di essere i cosiddetti festival letterari generalisti (estivi e non) non avrebbero già dovuto avere da un bel po’…
Pasquale Bottone
Dir. Artistico Il Salotto delle 6/Giallocronaca
Rassegna nazionale a tema