Quelle pazze menti dei pop-surrealisti italiani

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Più che una semplice corrente artistica è un vero e proprio movimento culturale. Che da Los Angeles ha fatto il giro del mondo e non ha risparmiato positivamente l’Italia. Non che il Bel Paese, terra di poeti e pittori, avesse bisogno di influenze d’oltreoceano per arricchire il suo patrimonio artistico, ma gli italici hanno l’occhio lungo e dalla Lowbrow Art, meglio conosciuta come Pop Surrealismo, si sono lasciati affascinare. In principio fu uno sciame culturale che ronzava attorno ai fumetti pop e di matrice underground negli anni ’70, che con toni ironici e di scherno nei confronti della contemporaneità cercava di coglierne le sfumature più nascoste amplificandole ai limiti dell’assurdo, del surreale.Spaziando dalla pittura, alla visual art fino al mondo digitale dei cartoon di ultima generazione.Le tele dei pop surrealist sono infinite. Per alcuni il Pop Surrealism o Lowbrow è una forma d’arte che viene dal basso, in antitesi a quella di alto livello dei maestri del passato, perché scava negli scenari grunge e di nicchia. Tuttavia, il successo di questo movimento culturale oggi rende l’arte che ne è espressione un fenomeno autorale molto apprezzato dai critici e dai collezionisti.

In Italia, in particolare a Roma, gallerie come Mondo Bizzarro e la Dorothy Circus Gallery hanno avuto (e hanno) la lungimiranza di ospitare esposizioni personali e collettive di artisti pop surrealisti, stranieri,come i geniali Marion Peck e Mark Ryden,e nazionali. Alla Dorothy,Peck e Ryden, dal 10 dicembre scorso,sono i protagonisti di un viaggio onirico chiamato “Mysterium Coniunctionis”,una rara collezione di stampe, sketch e studi in cui è possibile ammirare il panorama introspettivo dei due autori. Venti opere, perlopiù prove d’artista in vendita per gli appassionati ed estimatori del genere. Archetipi e mitologie dell’attualità, strane creature, mondi fantastici, bimbi poco socievoli in quella paradossale alchimia tra il bello dell’arte ( tipici i riferimenti al classicismo di Ryden, quasi confortanti per lo spettatore)e l’angoscia del vivere. Ci sono i clown che Marion Peck considera “esseri quasi mistici, come messaggeri di altri regni. Anche se pagliacci sono venuti a noi come figure uniche capaci di divertire il mondo occidentale moderno, irradiando le energie oscure di quello sotterraneo“. E se i pagliacci di Peck sono visibili nella celebre “The Isle of Joy” nella Capitale, al Mac di Milano, tra genio e realtà, senza girarci intorno, in “The Best is yet to come!” a cura di Gerry Casale e Silvia Basta, Max Papeschi con un’antologica ha messo in posa, fino al 26 novembre scorso, Minnie e Topolino accanto alla bomba atomica, lasciando che fosse un dirigible della Coca Cola a bombardare la città. E nella sua arte digitale la surrealtà regna sovrana. Ma l’artista promette che “il meglio deve ancora venire”.

Se poi di arte pop surrealista  italica si deve parlare, come non citare Elio Varuna e Desiderio? Il primo riempie le sue opere di immagini  metafisiche, guarda al Cosmo, alla sua poliedricità e lo traduce in arte.Con universi spazio-temporali che si incontrano, anche se distanti, nei suoi lavori. Che diventano il centro di un’indagine immaginaria che sorpassa la realtà, come in uno show surreale che arriva fino ad Hello Kitty. Paolo Pedroni, così come un altro giovane artista italiano, Paolo Petrangeli, è l’autore che forse maggiormente segue il filone di Ryden e può essere considerato uno dei dreamers del Pop Surrealism italiano insieme a Desiderio. In opere come “Proud”, “Just friends” e “Fog” le influenze della street art, che l’artista bresciano conosce bene perché il suo primo approccio con l’arte è stato nelle periferie urbane, si spostano sul mondo surreale scoprendo il digitale per esporre poi nelle gallerie nazionali e all’estero. Desiderio richiama nella sua estetica il grottesco, il sogno ma anche il bislacco. Come in un circo colorato che se fosse un film sul Paese delle meraviglie sarebbe diretto da Tim Burton e abitato da magici esseri della fantasia dell’artista milanese.

C’è chi a questa cultura si appassiona, come l’emergente Pier Oddish (Pierluigi Niglio) che dai Castelli Romani ha iniziato a seguire il movimento Pop Surrealista  che, come lui stesso racconta, è diventato un filtro per rappresentare i suoi soggetti ispirati alla società giovanile odierna. Un visitatore di un altro pianeta, che armandosi di penna, pennello e spray crea immagini sinistre, lussuriose e malinconiche. Guardando all’ermetismo e al suo linguaggio simbolico non sempre di facile comprensione,e al suo mito, Mark Ryden. Da poco, inoltre, si è lanciato nel design streetwear customizzando abiti e accessori. E poi, senza sguardo assassino, arrivano le “Kokeshi Dolls” di Beatrice Alegiani. Traendo ispirazione dalle bambole giapponesi, le opere di Alegiani è come se appartenessero ad una dimensione puerile e ingenua che l’artista anima con sembianze di soggetti che fanno parte della sua vita personale, creando un effetto quasi surreale che potrebbe essere riletto in chiave pop. La bambola diventa quindi un “contenitore d’identità”,come suggerisce Daniela Colombo, attraverso l’esasperazione dell’oggetto standardizzato che acquisisce un suo valore identitario mediante l’utilizzo ludico di colori accesi. Senza perdere di vista, nel mondo della globalizzazione, la continua ricerca di una grammatica mirata alla personalizzazione dell’opera in cui si aprono, in modo autentico, quei cassetti dell’immaginazione e della fantasia spesso tenuti chiusi a chiave.