“La chitarra, o, meglio, il suo suono, era lo stesso da secoli. A me è venuto naturale cercare sia un nuovo suono, sia un nuovo fraseggio. Entrambi, per un’alchimia che nessun autore sa bene da dove provenga – altrimenti la si applicherebbe sempre – hanno incontrato persone sensibili capaci di apprezzarli“.
Quella di Riccardo Zappa è una straordinaria carriera da solista, sebbene abbia collaborato con gente del calibro di Mia Martini, Eugenio Finardi, Fiorella Mannoia, Mina, Giorgio Gaber, Gino Paoli, Eros Ramazzotti e tanti altri. Chiamarlo semplicemente chitarrista acustico è riduttivo, perché è un artista che ha saputo elevare il suo strumento a livelli mai sperimentati prima. Riccardo Zappa, classe’51 nato a Forlì ma milanesissimo di adozione, “e ora finalmente approdato ai dolci colli toscani“, è stato allievo del grande Miguel Abloniz. Con la sua musica tocca le corde dell’anima, le fa vibrare come quelle del suo strumento, tanto che ascoltandolo ci si dimentica della sua tecnica, che dosa con maestria. E con innovazione, da sempre. Già nella terza traccia dell’album Chatka del 1978, nel brano La Chitarra a Pila, c’è quello che sembra essere il primo esempio di tapping applicato a una chitarra acustica. O nel brano omonimo in Fondali, del 1993, dove ascoltiamo un arpeggio ciclico con 10 note diverse nello stesso momento, suonate con chitarra a 12 corde. Ha 22 album all’attivo.
Se fosse straniero, gli verrebbero tributati gli onori che merita. In Italia, pare sia troppo di nicchia. Troppo off, evidentemente. Un off che però riempie i teatri. E che ha il suo pubblico, che da sempre segue il suo percorso artistico con interesse e passione.
La tua carriera artistica, fin dagli inizi, è stata nel solco della ricerca e dell’innovazione.
“La mia carriera inizia nel 1977. Diciamo, quindi, che ha risentito positivamente sia degli ultimi bagliori del progressive, sia dell’ altrettanto importante periodo che identifichiamo negli anni Ottanta. Così, se il primo ha portato la maggiore espressione artistica del secolo scorso, il secondo ha segnato la fusione musicale di generi diversi. La sperimentazione collimava perfettamente con le aspettative di tutti. Per questo, sostanzialmente, era perfettamente compresa. La musica era argomento di discussione al bar, così come lo è oggi un derby giocato la domenica. Doveva ancora arrivare l’era digitale, quindi la musica costituiva uno dei massimi interessi di vasti strati sociali, tanto che la discografia ha conosciuto, in quegli anni, la massima espansione”
La sperimentazione ha coinvolto anche l’uso degli strumenti?
“Fra tutti gli strumenti, la chitarra acustica è stato quello che ha subìto i maggiori cambiamenti, passando dall’accompagnamento tipico per ballate popolari a qualcosa di veramente innovativo, come l’ottenimento di un linguaggio autonomo, libero fra melodia ed armonia, arrivando a produrre egregiamente entrambe, con l’ aggiunta, se possibile, di un forte portamento ritmico e percussivo. L’ impiego dell’effettistica, ha permesso che il suono diventasse finalmente evocante e suggestivo. I miei album pubblicati in quegli anni, Celestion, Chatka, Trasparenze, Haermea, sono caratterizzati da tutto questo, essendo stati perfettamente compresi nel mio tentativo di smarcarmi dai luoghi comuni”
I tuoi primi album, Celestion e Chatka, appena usciti sono stati acquisiti da una biblioteca milanese e archiviati alla voce “Chitarra”…
“La biblioteca è la Sormani. Non so se ancora oggi i miei album siano conservati lì. Certo è che, nel periodo della loro pubblicazione, il fatto per me è stato un motivo di grandissima soddisfazione. Era la conferma di quanto sosteneva il grande maestro Miguel Abloniz, secondo il quale avevo “inventato qualcosa, per la chitarra, che prima non c’ era”.
A proposito di ricerca e innovazione, sei stato il primo a usare il Fairlight, il computer nato per riprodurre e campionare i suoni ed era solo il 1983.
“Si, è stata una felice coincidenza: il caro amico Pietro Pellegrini, già mio tastierista nell’ album Haermea, aveva ricevuto l’esclusiva della distribuzione, tramite una società che aveva appositamente fondato, di questo particolarissimo ed innovativo computer. Aprimmo insieme la cassa in legno che lo conteneva. Le dimensioni erano veramente notevoli, nulla a che vedere con gli attuali pc portatili. Una volta collegato, ci siamo accorti che il Fairlight era in grado di produrre una tale gamma di nuove sonorità che subito ho deciso di realizzare un album, che porta il mio nome. Cooper e la macchina parlante, uno dei miei brani più conosciuti, è nato proprio nell’ idea di una composizione dove duettassero il bluesman Cooper Terry con il Fairlight”
Sempre al passo con i tempi. In questa direzione vanno i tuoi ultimi dischi e la scelta di aderire a Musicraiser, il sito per la campagna di raccolta di fondi per realizzare, nel 2015, C’è bisogno di grano, il tuo ultimo lavoro?
“La scelta deriva dal fatto che gli editori hanno praticamente chiuso ogni attività. L’ idea che fossero gli appassionati stessi a contribuire direttamente ai progetti dei loro artisti preferiti m’è sembrata bella. E così è stato perché, prima ancora di ultimare il mio album, disponevo già delle risorse giuste per realizzare un buon lavoro.
Però il discorso parte da lontano. Noi autori abbiamo colto l’ importanza dell’ arrivo degli anni Novanta sotto due aspetti: quello meramente artistico, contrassegnato dall’ enorme apporto creativo dato dai primi computer progettati per fare musica, e quello segnato dal contenitore stesso, il compact disc. Se il primo ha dato elementi estremamente positivi, è stato proprio quest’ ultimo, invece, a contenere il virus che sarebbe esploso poco dopo. La sua riproducibilità casalinga ha portato alla copia privata, rendendo sconveniente la pubblicazione di quelle opere che non fossero destinate ai grandi numeri della musica popolare”
A questo si è poi aggiunta la crisi delle case discografiche…
“La fine dell’ editoria tradizionale combacia con lo scambio diretto delle opere, per sfociare, perso per perso, con la collocazione in rete, da parte degli autori stessi, delle loro produzioni. La conseguente contrazione, o chiusura, delle case editrici ha causato il danno maggiore, e cioè l’assenza del naturale posto d’ incontro fra artisti, tanto che questi si sono rinchiusi nelle proprie abitazioni, dialogando ciascuno con il proprio display, piuttosto che con altri strumentisti creativi. La gravità del problema è stata colta abbastanza recentemente e sono nate, in rete, iniziative per compensare quel che la rete stessa andava togliendo alla musica, e cioè le risorse per concretizzarla al meglio. Da qui la mia adesione al più importante sito di crowfounding italiano Musicraiser, tramite il quale ho realizzato il mio ultimo album, che si intitola, guarda il caso, C’ è bisogno di grano”
Ora pubblichi solo video ripresi dal vivo sulla tua pagina Facebook. Come rispondono i tuoi fans?
“È così. Trovo che al momento sia il media più adatto e confacente alla situazione. Nella mia pagina si raccoglie una parte consistente di quanti seguono la mia attività, ed è un piacere suonare per loro e, quindi, scambiare direttamente qualche opinione in merito a tutta quanta la mia produzione”
Andando un po’ sul tecnico, usi ancora la chitarra Martin J1240?
“Si. A questo punto dubito che potrei preferirle uno strumento diverso, neppure se questo avesse, se possibile, un suono migliore. E’ un atteggiamento affettivo ed irrazionale fin che si vuole, ma che ho ritrovato in molti, grandi colleghi. In certe occasioni, naturalmente, impiego anche le mie Riccardo Zappa Signature, disegnate, prodotte e distribuite per la Eko”
Martin Guitars, un nome storico che parla da solo e che è stato a lungo un tuo sponsor. Lo è ancora, insieme al produttore americano di corde per chitarre La Bella?
“Sono stato a lungo endorser ufficiale di Martin, ed ancora oggi conservo ottimi rapporti con Eko che ne è il distributore per l’ Italia. Per quanto riguarda le corde La Bella, posso dire di essere un amico di Richard Cocco, per il quale svolgo da molto tempo l’endorsement delle ottime corde che produce a New York”
Sei uno dei pochi artisti al mondo a usare la chitarra 12 corde come strumento principale se non l’unico. Che possibilità ti dà la 12 corde rispetto a una 6?
“Diciamo che per un autore è importante che lo strumento stesso gli rimandi delle idee, delle sorprese. Ed è proprio questo, per me, che è in grado di fare una 12 corde rispetto ad una 6, che ormai mi suona più conosciuta, risaputa”
Perché tieni la tua 12 corde accordata un tono sotto?
“Per due ragioni: la prima è che così facendo si ottiene una profondità, nella notazione, che aiuta tantissimo, specie in ambito live. La seconda è che la cordiera oppone una resistenza assai più leggera rispetto ad una accordatura tradizionale a 440 Hz. Questo consente di impiegarla abbastanza tranquillamente per un intero concerto senza affaticare troppo la mano sinistra”
Scegliere tra una chitarra classica e una acustica, visto che hai anche l’esperienza di insegnante, è legata alla psicologia e alla personalità di chi la suonerà?
“Le corde di nylon e quelle di metallo stanno in due mondi diametralmente opposti, per quanto un esperto chitarrista potrebbe generarvi le stesse, identiche notazioni con entrambi i tipi. A questo punto, la preferenza di una cordiera rispetto all’altra diventa un elemento assai soggettivo. Forse la 12 corde di metallo costituisce la giusta via di mezzo”
Qual è la difficoltà nell’insegnare – e imparare – uno strumento come la chitarra, che solo in apparenza è semplice?
“La difficoltà è la medesima che si incontrerebbe con qualsiasi altro strumento. Il problema maggiore che assilla i giovanissimi allievi, e anche gli adulti, è il poco tempo che sono in grado di ritagliare, nel corso della loro giornata, allo studio”
Tu sei un musicista fuori dal comune . All’estero saresti apprezzato per quel che davvero meriti. Come analizzi questa schizofrenia tutta italiana per cui è sempre meglio quel che accade fuori dai confini nazionali, mentre Paesi come la Francia tutelano i loro artisti a ogni livello?
“Il discorso avrebbe bisogno di un’analisi approfondita. Diciamo, per brevità, che la musica in sé non avrebbe bisogno di un punto di nascita e né di avere una destinazione precisa. Nel mio caso, posso dire di essere arrivato, con il suono della mia chitarra, al massimo ottenibile, e cioè nell’ avere un seguito importante nel mio Paese. Allo stesso modo sono stupito dai report di Youtube che confermano come i miei brani siano apprezzati e spesso eseguiti da altri chitarristi, in tutto mondo. Ricevo molti contatti dai Paesi emergenti, come quelli mediorientali, o addirittura da sperdute zone ex sovietiche o africane. Nel 2017 sono previsti miei concerti negli Stati Uniti. Tutto ciò contrasta con una realtà, tutta italiana, effettivamente votata a trascurare le proprie risorse artistiche. E non mi riferisco solo alla musica”