Gli americani, si sa, sono un popolo patriottico. Ma anche dallo spiccato spirito critico e dal moralismo talvolta esasperato, che non risparmia nessuno. Questi due modi di essere americani li abbiamo colti spesso nella rappresentazione che il cinema ha dato della massima figura del Paese. Il Presidente degli Stati Uniti d’America, come enfaticamente viene appellato in quasi tutte le pellicole. Il cinema a stelle e strisce ha rappresentato la massima carica della nazione sia attraverso biografie di veri presidenti che attraverso la creazione di personaggi di fantasia. E qui cominciano i distinguo. I presidenti veramente esistiti non sono sfuggiti alla critica, talvolta spietata, come quella di Oliver Stone, in altro caso sfumata ma egualmente caustica come in Sidney Pollack. Solo in rari casi, per figure immense come “Lincoln” di Spielberg Con Daniel DayLewis e per narrazioni di singoli avvenimenti, come in “Thirteen Days” di Roger Donaldson sulla crisi dei missili a Cuba e sulla gestione della stessa da parte di John F. Kennedy si è quasi sconfinato nell’agiografia. Al contrario nelle pellicole di Oliver Stone, “Nixon- Gli intrighi del potere” e “W” sui controversi Nixon ( con un gigioneggiante Anthony Hopkins, lui inglese a interpretare un nativo della California) e George W. Bush junior, impersonato da un altrettanto istrionico Josh Brolin, le figure presidenziali sono quasi sottoposte a un esame autoptico, sezionate, scomposte e poi riassemblate, in una analisi senza sconti delle piccolezze e delle miserie degli uomini alle prese con il mestiere piú difficile del mondo.E persino il Kennedy di “JFK, un caso ancora aperto” è un cadavere da esaminare per scoprire la verità e nulla più, come il Nixon ambiguo e mentitore sullo sfondo di “Tutti gli uomini del Presidente” di Alan J. Pakula, , e quello di “Frost – Nixon , il duello“, con un Frank Langella ancora più cupo e sinistro, che parla nella penombra, lontano dalla luce, come un Don Vito Corleone.
Di tutt’altro tenore il modo in cui Hollywood ha rappresentato quasi sempre i presidenti di fantasia, figure sostanzialmente mai lontane dal cliché dell’ uomo senza macchia e senza paura, come Bill Pullman eroico pilota di caccia che affronta personalmente i cattivi alieni in “Independence Day“, o come Harrison Ford indomabile combattente che libera l’Air Force One dai terroristi nell’omonimo polpettone di Wolfgang Petersen per finire al romantico seduttore Michael Douglas de “Il Presidente, una storia d’amore“. Appare evidente che nel rappresentare il loro comandante supremo, i cineasti d’oltreoceano si sfogano dalle frustrazioni della realtà spesso misera e per nulla eroica, rappresentando figure degne della Disney, anche nelle ultime versioni più cool di quest’ultima, piuttosto che quelle parecchio imbarazzanti delle biografie, con risultati spesso al limite del grottesco e della fanfaronata. Come sono lontani i tempi di John Carpenter e del suo magnifico “1997, Fuga da New York“, scritto e diretto in piena epoca post-Watergate. L’aereo del Presidente codardo e pavido, interpretato da un eccellente Donald Pleasance, è stato attaccato e il presidente si è fatto chiudere nella capsula di salvataggio e catapulare sulla città-prigione di Manhattan. Il colonnello Hauk/LeeVan Cleef vuole affidare la missione di recupero a Jena Pleesken/Kurt Russell:
“Circa un’ora fa un piccolo jet è precipitato nel centro di New York, c’era dentro il Presidente…” e Jena risponde con la sua voce rauca e graffiata:
“Il presidente di che?”