Potere della tecnologia e della digitalizzazione in scatti d’autore che indagano sul lato più intimo dell’animo umano. Dall’associazione tra la fotografia e l’accostamento per analogia delle immagini sul motore di ricerca Google Image, l’artista Fabrizio Intonti presenta “Netaphors”, un percorso espositivo nato dall’interazione creativa del mondo virtuale con ritratti personali e di architetture realizzati dal fotografo.
Dopo essere stata ospitata all’Università Bicocca di Milano ed essere diventata oggetto di studio in una tavola rotonda con noti esponenti e critici del mondo dell’arte, l’esposizione fotografica, curata da Auronda Scalera, approda al Palazzo Velli di Roma dal 10 al 19 giugno. Nella galleria del ‘400, nel cuore della Capitale, il progetto creativo mostra, nel corpus più profondo del lavoro, come l’artista, partendo da un’immagine da lui realizzata e caricata sul motore di ricerca Google, riesca ad ottenere milioni di figure simili presenti in rete, che vengono selezionate con cura attraverso un’attenta ricerca e assemblate effetto groupage in un singolare collage fotografico.E’ come se dal web provenissero i ricordi più nascosti, una sorta di scatola della memoria virtuale che diventa archivio dell’inconscio e regala affascinanti serie di associazioni visive. Netaphors (netafora) è un neologismo coniato dall’autore che adatta il significato greco della figura retorica della metafora (trasferimento, spostamento di significato) al net, la rete, il groviglio di informazioni, che in questo caso appartengono al linguaggio figurativo, in cui si rimane necessariamente impigliati per via della similitudine ottica.
Google come cervello ingegnoso di codici “iperfigurati” in cui il trasferimento di senso non è dettato da frasi e parole, ma in modo originale dalle immagini, dove non è più l’occhio del fotografo il vero protagonista, ma il “grande fratello” Google che vede per lui. Così l’arte della fotografia diventa quasi un procedimento psichico, reso ancora più entusiasmante nel momento in cui l’associazione tra la parte e il tutto avviene per errore, sbagliando. Quando il motore di ricerca non trova l’immagine esatta caricata sul web da Intonti (come un viso, un simbolo, un oggetto) “impazzisce” per trovare, in un libero gioco di casuali analogie visive, quella più affine e somigliante. L’effetto ottico surreale delle opere di Fabrizio Intonti nasconde un’indagine intima sulla psicosi della società contemporanea che viene svelata attraverso flashback, lapsus e “vuoti di memoria” ottici colmati dalla rete.La memoria collettiva di Internet come diario di messaggi personali annegati in un mare di informazioni che riemergono, per gioco, in un linguaggio universale innovativo che è un oceano di souvenir all’interno dell’automatismo digitale, che premia l’errore e lo rende arte attraverso la fotografia. Un codice estetico-narrativo nuovo e fatto di figure, creato questa volta non dall’essere umano, ma da una macchina