De Cataldo e l’interminabile Romanzo Criminale: il lato oscuro di Roma

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Ph-de-cataldoUn gruppo di rampanti criminali, le borgate romane, una città in fiamme e una donna. Sì, perché c’è sempre una donna nei romanzi noir, ed è sempre lei a mandare a puttane la vita del criminale in ascesa. La donna di questa storia si chiama Patrizia, prostituta di lusso, e i ragazzi di cui si parla sono conosciuti come il Libanese, il Freddo, il Dandi, il Nero e il Secco. La banda di Romanzo criminale (Einaudi), quella che, partendo dai casermoni della Magliana, con droga e sangue ha conquistato Roma. A raccontare una storia, misto di finzione e realtà, un magistrato di origini pugliese, ma ormai trapiantato nella Capitale, Giancarlo De Cataldo.
Con quel noir De Cataldo ha fatto rinascere l’immagine delle periferie come fucina di disperazione e violenza, voglia di riscatto o forse di un perverso rispetto. Sobborghi in cui la disillusione si mischia al latte materno e alimenta i giovani di quei luoghi disgraziati. Ma esistono ancora luoghi del genere? La periferia è ancora quel posto oscuro in cui personaggi ai margini della società scatenano guerre di rispetto e per il comando della propria zona? Il crimine e la periferia come sono cambiati?

Inizia da queste domande un viaggio nel cuore nero delle città italiane. La prima tappa è Roma, un luogo da sempre in tensione tra il suo volto angelico e quello demoniaco. E l’autore che ci ha fatto da Cicerone non poteva che essere quel Giancarlo De Cataldo, quell’autore con i suoi ragazzi di borgata.

Com’è oggi la periferia di Roma?

«Adesso le cose rispetto al periodo di Romanzo criminale sono cambiate. Non è stata solo la periferia a cambiare, è stato anche il concetto di periferia ad essersi trasformato. Un tempo la periferia a Roma era identificata con le borgate. Adesso questi luoghi sono per la maggior parte inurbati, rientrano nel concetto di città metropolitana a tutti gli effetti. Ci sono delle nuove periferie, ma sono le baraccopoli dei poveri, sono i campi nomadi, gli insediamenti abusivi spontanei sulle rive del Tevere. Sono spazi al di fuori di qualsiasi idea urbanistica».

Questa evoluzione ha cambiato le carte in tavola?

«Questi posti nuovi non sono i luoghi elettivi del noir. C’è da dire che anche questo genere letterario si è evoluto. Il noir ha un po’ contaminato i generi limitrofi e il noir italiano, in particolare, si è allontanato dalla marginalità e tende sempre più al racconto dei rapporti tra poteri, economie criminali e la strada».

È naturale, anzi necessario. Il noir ha sempre descritto la realtà così com’è. È la società ad essersi contaminata?

«Il genere segue sempre l’evoluzione della realtà, in qualche caso l’anticipa anche. Solo che la periferia ha perso il suo ruolo centrale. Centrale è diventato il centro».

In qualche modo però il noir continua a raccontare il lato oscuro delle città?

«Certo è quello fa parte del genere. Nel noir l’imputato è quasi sempre la società e difficilmente esistono personaggi innocenti fin in fondo».

Allora com’è la Roma di oggi?

«Roma è una città multistrato, in cui la confusione la fa da padrona. È Suburra. È simile a Napoli, una città in cui la mescolanza eterna di patrizi e plebei, di bene e di male è difficile da rinchiudere in un posto. Oggi sarebbe impossibile parlare di una Banda della Magliana per la difficoltà di localizzare geograficamente una zona d’influenza».

La bassa manovalanza però proviene sempre dalla periferia…

«Un circuito alimenta l’altro. Il reale problema di Roma è la contiguità di ambienti che impedisce di isolare, anche antropologicamente, il criminale. Ostia è un esempio di questo. È periodicamente nelle cronache criminali, però se ci va un turista e si fa una passeggiata ha la sensazione di essere in una ridente località marina. Non immaginerebbe ciò che c’è dietro quella facciata: i chioschi, il traffico delle concessioni, la presenza di gruppi criminali».

In la Notte di Roma, scritto con Carlo Bonini, l’azione è spostata tra il Vaticano e Casal del Marmo, tra palazzi e strade insanguinate. È una Roma divisa in due…

«La città oggi mi fa pensare ad uno di quei gatti romani che ha avuto qualche brutta esperienza, ha raddrizzato il pelo e si è messo sotto un arco ad osservare questi umani. Sta lì e spera che vincano quelli più amichevoli. In modo che lui possa tornare tranquillamente a passeggiare sotto il Portico di Ottavia».

Insomma prevale il lato oscuro o no?

«È una città in attesa, i due poli stanno attendendo una scintilla che porti uno dei due poli a prevalere… C’è però un aggettivo che descrive Roma e può sembrare banale: è eterna. Roma è veramente così. Ha eterni difetti, ma anche questa eterna capacità di vivere le sue 7 vite, 77 volte 7, come i gatti».