Alfredo Casella diceva di lui: «E’ un formidabile pianista, alle sue mani nessuna esecuzione è impossibile». E’ Ferruccio Busoni, berlinese d’adozione (dove è sepolto) e docente in Europa e Usa, personaggio poco noto benché tra i maggiori compositori e musicisti italiani del ’900 del quale, quest’anno, ricorre il 150° anniversario della nascita. Ammirato da Liszt, a Busoni va riconosciuto il merito d’aver tentato, tra le innumerevoli peripezie delle avanguardie musicali novecentesche, una conciliazione tra tradizione classica e modernità espressionista.
Da visitare è, allora, Casa Busoni a Empoli, sua città natale, che ha reso e rende onore al compositore il quale, nonostante il suo “esilio”, fu sempre italiano nell’animo. In mostra, fino a fine 2016: partiture autografe, manoscritti, lettere e carteggi vari, foto d’epoca di Busoni e – pezzo forte – il suo pianoforte.
E, a proposito di carteggi, non si può non rilevare come l’anniversario busoniano faccia il paio con un altro altrettanto importante anniversario: il centenario della morte di Boccioni. Un accostamento insolito, quello tra il pittore futurista e il compositore ultra-bachiano, ma che, invece, trova giustificazione nella grande amicizia che legò i due in vita. Il fitto carteggio Boccioni-Busoni lo testimonia: «A Lei devo la pace e la calma con le quali posso sopportare questa vita terribile», scriveva Boccioni, che diede sempre del “lei” al suo «caro e terribile amico», a Busoni pochi giorni prima di morire; «Se mai uno fu vicino col cuore e colla mente al Suo Umberto, creda, lo è colui che Le scrive», assicurava Busoni alla madre di Boccioni pochi giorni dopo la morte del figlio. Due grandi dell’arte italiana legati in vita e, forse non a caso, accomunati nella memoria postuma.