E’ dato ormai acquisito dalla comunità degli storici quanto anche i film possano essere valide fonti per lo studio della storia. E questo vale tanto più in un caso – come fu quello del Ventennio fascista italiano – in cui fu Benito Mussolini stesso ad attribuire una simile valenza nel momento in cui proclamò ufficialmente che «la cinematografia è l’arte più forte».
Non fu un caso, dunque, che grande impulso all’arte cinematografica avvenne proprio negli anni di governo del Duce: la creazione de L’Unione Cinematografica Educativa (meglio conosciuto come Istituto LUCE) nel 1924; la realizzazione della prima Mostra del Cinema di Venezia nel 1932; la nascita del Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1934; la costituzione dell’Ente Nazionale per le Industrie Cinematografiche nel 1935; fino alla costruzione di Cinecittà a Roma, inaugurata da Mussolini stesso il 28 aprile 1937. E’ di questa storia parallela del fascismo che tratta l’insolito libro Cinema in camicia nera di Agata Motta (Solfanelli, pp. 264, euro 18) in uscita in questi giorni.
La trattazione della produzione cinematografica del Ventennio prende il via dall’esposizione di alcune questioni critiche del cinema cosiddetto “di regime”: «I film di propaganda, il filone dei telefoni bianchi, le voci fuori dal coro, che operavano soprattutto nel cinema calligrafico e in seno a riviste più o meno legate al regime». A chiudere la prima parte, una esauriente analisi delle posizioni cattoliche legate alle direttive papali non solo costellate da antagonismi e censure.
Nel prosieguo del volume compaiono i nomi dei registi più rappresentativi dell’epoca in rapporto ai diversi livelli di lettura che le loro opere offrono alla critica cinematografica.
Una corposa e appassionante sezione è dedicata, invece, alla filmografia bellica: «Nel giugno del 1940 le illusioni di pace svanirono con l’entrata in guerra contro Francia e Inghilterra», scrive l’autrice, «si sperava, quindi, anche nella conquista degli schermi europei. La possente macchina cinematografica avrebbe dovuto pertanto avviare e intensificare la sua produzione a sostegno della guerra e, a tal proposito, su costituì nel 1941 il Comitato per il cinema di guerra e politico». Da qui nacquero la “tetralogia militare”, messa in piedi tra il 1941 e il 1943 da Francesco De Robertis e formata da Uomini sul fondo, Alfa Tau!, Uomini e cieli e Marinai senza stelle, e la “trilogia fascista” di Roberto Rossellini composta da La nave bianca, Un pilota ritorna e L’uomo della croce, opere che «secondo molti studiosi anticiparono, in fatto di stile e impianto narrativo, i capolavori neorealisti».
Infine, dopo un capitolo incentrato proprio sull’avanguardismo della filmografia bellica fascista – Verso il Neorealismo? – il libro si chiude con una necessaria trattazione del crollo del fascismo e dell’inevitabile «lenta agonia» del cinema italiano dopo il 1943, ovvero della sua sostanziale assenza nel sostegno alla causa repubblichina.