
Non è un libro per increduli. C’è da essere affezionati alla “Tradizione” con la maiuscola per accostarvisi, gettando alle ortiche l’abitudine al nichilismo. Eccoci dunque a leggere La cabala degli ebrei di Paul L. B. Drach, riprodotto dall’editore Pizeta sull’edizione originale francese comparsa a Roma nel 1864 (pp. 84, € 10). Di Drach si sa poco, di Cabala si sa anche meno, essendo la dottrina segreta dell’ebraismo, dunque custodita con riserbo per definizione. Il nome significa letteralmente “tradizione ricevuta”, ossia donata per via orale agli israeliti e si tratta di quell’insieme di conoscenze mistiche seguite nelle preghiere e nelle meditazioni. Essa è conservata e tramandata gelosamente dall’alba dei tempi: è fatta risalire a Mosè e addirittura ad Adamo.
Drach, a suo tempo noto orientalista, si decise a mettere un po’ d’ordine in una materia insidiata da studiosi approssimativi; tra questi, alcuni accusavano l’ebraismo di essere panteista. Di qui la necessità di scrivere un breviario scarno eppure preciso, ampiamente apprezzato anche dalle gerarchie cattoliche per la chiarezza dell’esposizione e la fedeltà alle fonti. Gli appassionati possono trovare la spiegazione di espressioni e concetti come Sefirah, ossia numerazione e splendore; ci si imbatterà nello Zohar, l’esegeta per eccellenza. Si farà la conoscenza del Messia degli ebrei, dunque delle parole scritte nel Libro di Isaia, secondo la quale questi avrebbe preso su di sé tutti i mali del mondo per espiare i peccati dell’umanità. Un libro dannatamente fuori moda, ottocentesco ma controcorrente rispetto alle idee in voga a quel tempo e proprio per questo carico di significato e – è proprio il caso di dirlo – di magia. Sempre che di magia si possa dire, sebbene per gioco giornalistico, trovandosi di fronte ai misteri più profondi della Bibbia.