Il titano è arrabbiato. Basta la sua voce, stentorea, abissale, per farti tremare le clavicole. D’altronde, Eros Pagni è un titano del teatro, ha prestato l’ugola al bastardissimo Sergente Maggiore Hartman sbrecciato da Stanley Kubrick in Full Metal Jacket, forse è per questo che scatto sull’attenti quando mi dice che «oggi non siamo nelle condizioni di fare del teatro d’arte, sa alla gente cosa importa del teatro d’arte?». Aristocratico Eros Pagni, che è stato plasmato dai registi più grandi, da Lina Wertmüller a Dario Argento (è il commissario Calcabrini di Profondo rosso) da Dino Risi ad Alberto Sordi (in Nestore, l’ultima corsa, dove duetta virtuosamente con l’“Albertone” nazionale) e Ettore Scola (per La cena ottiene un Nastro d’argento), che ha girato pure con Beppe Grillo (nel grottesco Topo Galileo), ma che resta un prodigioso, longevo “animale da palco”. Praticamente, ha recitato a teatro tutto il recitabile, nell’album delle figurine non gli manca nessuno, Brecht, Shakespeare, Goldoni, Pirandello, Beckett… «il mio sogno? Fare Il misantropo di Menandro. Ma è impossibile, per raggiunti limiti di età».
Nell’album, però, Pagni piazza l’ennesimo classicone, Il Sindaco del rione Sanità, «che De Filippo ha tratto da un personaggio realmente esistito, lo sapeva? Mi creda, questa è una pièce di una attualità cocente». Fedelissimo ai suoi registi (è stato diretto da Luigi Squarzina, da Luca Ronconi, da Orazio Costa, da Elio Petri), in questa messa in scena c’è la mano di Marco Sciaccaluga, già direttore del Teatro Stabile di Genova, «per me è il miglior regista italiano, sono quasi 40 anni che lavoro con lui. Sa perché? Perché è un uomo preparato, un uomo della “vecchia guardia”, che conosce il mestiere profondamente. Forse la sua è l’ultima generazione di registi veri».
La gente deve essere protetta, altrimenti sbaglia. Come si sa, Eduardo, tramite il capopopolo Don Antonio Barracano, compie un radicale ragionamento dentro la giustizia. «La giustizia non incontra le esigenze della gente. Questo pensa Don Antonio. La giustizia è una cosa fittizia, posticcia, che non dà garanzia al popolo. E se la giustizia lo ostacola, lui la combatte». Facendosi giustizia da sé… «come una specie di Robin Hood dei poveri. Ben sapendo che l’uomo non è animato da cattivi sentimenti, l’uomo si difende». Eppure, neppure Don Antonio riesce a modificare l’umanità, che si rivolta nella corruzione. «Infatti. Nel testo di Eduardo c’è una bellissima battuta: “la ignoranza è assai, è un mare di gente che ha bisogno di essere istradata e protetta”. Direi che gli ultimi aggettivi dicono tutto. La gente deve essere protetta, altrimenti sbaglia. Don Antonio ha provato a proteggerli, ma la vita gli ha riservato un epilogo drammatico».
La miseria è ovunque. Eros Pagni, impregnato del suo ruolo, fa un po’ il difensore dei teatranti. «Non mi chieda in che stato si trova il teatro in Italia, preferisco sorvolare». Ci offra delle indicazioni di massima. «La miseria che ci sta circondando, la miseria culturale, la miseria di pensiero, di tutto, non consente più grandi cose». E lei, come ci sta in questo miasma? «Dopo 56 anni di teatro “impegnato” continuo ostinatamente a fare teatro. Non mi piego a fare le reclam per la Lavazza, anche se questo mi porterebbe molti soldi. Ma io sono nemico dei soldi…». Assolata nobiltà dell’artista.