Come mai in Italia il genere storico-fantasy non è molto frequentato? È una delle domande che sorge spontanea pensando all’ “azzardo” compiuto da Fabio Cento nell’ideare e dirigere una nuova serie tv proprio in quest’ottica. Appare un passo rischioso proprio per questo humus nelle produzioni nostrane e noi, forti di questa consapevolezza, abbiamo deciso di raccontarvi il progetto di Gorchlach: the Legend of Cordelia dando voce al regista e ad alcuni dei protagonisti. I due giovani interpreti, Alice Lussiana Parente e Federico Mariotti, hanno subito aderito con entusiasmo a una proposta così allettante tanto più nel nostro panorama. «Abbiamo dato al mio archeologo, Guglielmo Corsaris, una connotazione leggera, non è che una figura del genere deve risultare per forza di cose pesante, il risultato è un connubio per non renderlo neanche ridicolo. In più ha dei modi di fare tutti italiani, non lo volevamo americanizzare», racconta l’attore toscano. Per lui è «un sogno che si realizza poter prendere parte a un film di genere tanto più storico-fantasy» e non ha timore che possa essere solo per un pubblico di settore: «credo che possa interessare a più fasce d’età. Ammiro quanto Fabio e gli sceneggiatori siano stati visionari, l’innovazione di Gorchlach: the Legend of Cordelia sta per me nel credere in qualcosa e nel fare di tutto per andare oltre le difficoltà». Gli fa eco la co-protagonista femminile, la quale ha molto apprezzato l’accuratezza storica anche nei flashback ancor più pensando alle poche disponibilità economiche ed «è un peccato perché», aggiunge, «si ha voglia di vedere questi generi. Da noi c’è la paura di rischiare in questo settore anche perché magari sappiamo di non avere le tecnologie che possiede l’estero se pensiamo all’America e a Londra in cui vanno a nozze col fantasy». L’attrice parla con molto trasporto di questo lavoro, definendo la sua Rachel Blackwood, studentessa inglese di archeologia, «un’eroina fantasy, ma anche molto peperina. Ama viaggiare visto anche il rapporto con la figura paterna, un archeologo. Nel momento in cui si trova a contatto con Guglielmo è il suo primo approccio con un uomo, ma non posso aggiungere altro. Il modo in cui reagisce a questo fa capire quanto per lei sia difficile dare tutta se stessa in una relazione, ma le è molto più facile dedicarsi al lavoro, è un tipo molto indipendente, osserva il mondo senza timori».
Completano il cast Sergio Muniz, Roberto Accornero, Daniele Monachella, Guido Laurjni e Luca Biagini, quest’ultimo anche in veste di voce narrante.
La prima puntata di Gorchlach: the Legend of Cordelia sarà presentata il 12 marzo a Milano in una cornice prestigiosa, il “Cartoomics 2016”, la più importante fiera di fumetto, cinema e cartoon del Nord Italia. Per i fan del genere e per chi vuole affacciarsi, ecco l’occasione per saperne di più.
Il regista Fabio Cento: dalla leggenda mediterranea al mito di Ercole, dall’archeologia alla Valle d’Aosta, tra fantasia e realtà, così nasce il mio fantasy
Da grafico pubblicitario a regista indipendente. Com’è arrivato questo soggetto così particolare?
Sono sempre stato un po’ affascinato dalle leggende anche per via di mio nonno che è stata una persona che ha vissuto molte esperienze particolari, potremmo dire quasi collegate all’esoterico, tutte connesse al luogo in cui era nato, la Puglia. Mi ha mosso, quindi, il desiderio di scoprire cosa ci fosse dietro la leggenda, quale fosse il confine tra realtà e finzione. Il protagonista principale, l’archeologo Gugliemo Corsaris, è un po’ il mio alter ego. È certamente ispirato ai film di genere come “Indiana Jones” e “Il mistero dei templari”.
Come hai operato per sviluppare questo soggetto?
Anni fa, durante un corso ho conosciuto uno degli sceneggiatori di Endemol, Andrea Borini – era uFno degli insegnanti – ed è stato il primo tassello che mi ha fatto venire la voglia di lavorarci ancor più. Il gruppo si è poi ampliato con Roberto Tomeo e Vincenzo Costanza e così la sceneggiatura è stata scritta a sei mani, avendo presente che la serie è ambientata al presente e al passato, con storie che prendono ispirazione a cavallo tra Italia e Francia. Lo stesso mito di Ercole l’abbiamo usato come il fulcro di tutto. Si dice che egli, dopo aver attraversato tutto il Mediterraneo, sia arrivato nel Nord Italia accompagnato da un seguito di coloni insieme a un capostipite, Cordelo, un celta, che dovrebbe essere un argonauta. Dovevano scavalcare le Alpi per stanziare e far sorgere, appunto, la città di Cordelia, una sorta di “Atlantide delle Alpi”. Si narra che sorgesse dove ora c’è Aosta ed era la capitale dei salassi, un popolo celtico. Gli storici e gli archeologi pensano che non sia esistita davvero, anche se da poco tempo sono emersi dei reperti (come una tomba) che ci fanno pensare che qualcosa ci sia stato effettivamente.
Come avete pensato questo progetto?
A Cartoomics presentiamo il pilot, ma abbiamo già scritto l’intera stagione che prevede sei puntate, da quaranticinque minuti l’una.
Puoi dirci brevemente il plot?
Tutto gira intorno a Ercole e Cordelo e a un amuleto pagano, il Gorchlach, collegato alle fatiche di Ercole e alla città di Cordelia, è, infatti, un dono che il semidio Ercole fa a Cordolo come buon auspicio. Quest’ultimo è un elemento di fantasia che ho inserito io nella storia per sviluppare questo filone. L’oggetto passa nei secoli in mano a diversi personaggi e in base alla loro purezza di cuore, il Gorchlach influenza l’andamento della storia.
Dal punto di vista del casting come hai operato?
I due giovani protagonisti li ho conosciuti quasi per caso. Mariotti è toscano, l’ho trovato tramite una nostra amica comune che ha un sito di cinema e a cui ho parlato del mio progetto, lui corrispondeva esattamente all’immagine che avevo di Guglielmo Corsaris. È al limite tra il nerd un po’ “sfigato” che cerca di darsi un tono e va alla ricerca della realtà all’interno dei racconti di suo nonno. Non è il belloccio alla Harrison Ford, direi che è un mix tra il Nathan Drake dei videogiochi di “Uncharted” e il Ben Stiller della situazione. Alice Lussiana Parente è arrivata, anche in questo caso, fortuitamente sfogliando le amicizie di un mio amico su facebook e il suo volto rispecchiava ciò che cercavo, lei è stata subito entusiasta. Entrambi hanno fatto un provino ad Aosta.
Per quanto riguarda il resto del cast, ad esempio Roberto Accornero ha fatto spesso ruoli legati alla chiesa e alla storia, qui interpreta un vescovo nel medioevo, Monsignor Emerico (tra l’altro fatto beato), è il possessore dell’amuleto. Muniz l’ho visto in costume nel film spagnolo “Los Borgia” ed era perfetto, gli ho voluto offrire un ruolo da templare. Da parte di tutti ho ricevuto sin da subito risposte e adesioni positive.
Ho letto che hai fatto fare ai due giovani coprotagonisti una vera e propria esperienza su un cantiere archeologico…
Durante la stesura della sceneggiatura abbiamo contattato diversi professionisti del settore, tra loro c’era un’archeologa con un cantiere aperto ed è stata l’occasione buona per vedere nella vita reale questo lavoro. Sia Alice che Federico sono affascinati dallo stereotipo dell’avventuriero e questa incursione ha aperto loro delle porte per elaborare ulteriori sfumature.
Dal punto di vista del tuo stile registico, cosa dobbiamo aspettarci?
Il mio idolo per eccellenza è Spielberg, chiaramente con i mezzi che abbiamo noi. Alessio Barzocchini ha curato gli effetti speciali e mi sono trovato molto bene se si tiene conto che parliamo di cinema indipendente.
Puoi parlarci un po’ delle location che sono un fattore importante in questo genere?
Abbiamo utilizzato la Valle d’Aosta in lungo e in largo, è una terra molto ricca di castelli. Una location per eccellenza è stato il Castello di Graines, è stato un monastero. La storia parte proprio da lì, ai giorni nostri, perché è un luogo che nasconde diversi miti e leggende.
In quanto tempo avete realizzato questo progetto?
La sceneggiatura tra il 2012 e il 2013, mentre per la realizzazione da fine 2013 a dicembre 2014, ovviamente compresa la postproduzione. Abbiamo impiegato tanto tempo in quanto le risorse erano minime perché parte come progetto autofinanziato, indipendente in toto. All’inizio non c’erano sostegni da nessun ente privato né Film Commission, verso la fine, durante la postproduzione, sono rientrate la Consulta Attività Culturali Città di Aosta e la Film Commission Valle d’Aosta. Dagli esordi ci ha sostenuto la Liquid Gate Studio, azienda del mio direttore della fotografia, Dario Corno, che ha contribuito anche come professionista.
Ritornando alla questione del genere, secondo te come mai non si frequenta tanto da noi?
Io credo che l’Italia non vuole investire in un prodotto come il fantasy perché comporta troppe spese legate a un italiano medio, se si pensa a quello che comportano gli effetti speciali. È un prodotto che può non piacere al pubblico che ama la commedia, però è anche vero che, per esempio “Game of Thrones” ha sfondato delle porte anche da noi.
Tu aspiri ad arrivare anche ad un pubblico internazionale, come pensi di fare con questa serie?
Raccontando una storia che non è né fantasy né storica, non ci sono personaggi come elfi o draghi. Tratta di argomenti entrati nella leggenda mediterranea e li sviluppa in una doppia chiave, intreccia la fantasia con la storia vera e propria.
Sergio Muniz: nei panni del Templare per far appassionare i giovani al mito e ai forti principi
Cos’hai pensato quando ti è stato proposto questo ruolo di templare? Come ti sei approcciato, c’è qualche riferimento cinematografico che hai avuto a mente?
Io adoro fare ruoli in costume e di fantascienza, mi permettono di giocare. In fondo sono un bambino grande. Fare il templare mi è piaciuto molto, si monta a cavallo, lotti con le spade e ti vesti con 25 kg di cotta di maglia. Fabio Cento ha organizzato due giorni di prove per imparare delle coreografie di lotta con le spade e iniziare a conoscere il cavallo che avrei montato, un frisone femmina bellissima e molto ben domata. Come attore ho cercato di dare verità al personaggio, aggiungendo un po’ di animalità nei combattimenti, che erano molto crudeli, sangue e ferro. Nelle prove ho rischiato più di una volta di frantumarmi le dita.
Come definiresti il tuo personaggio e in che modo interagisce con i giovani protagonisti?
È un templare di forti principi, ha un compito e lo difende fino alla fine, è uno di quegli uomini che non molla mai perché è convinto e crede in quello che fa, doti rare oramai.
C’è una leggenda, anche della tua infanzia, che ti è a cuore?
Io sono nato e cresciuto a Bilbao nei paesi baschi. Ci sono tantissime leggende basche. Per esempio le “Lamiak” una specie di sirena d’acqua dolce, donne bellissime con i piedi palmati come le papere che vivevano vicino ai fiumi e avevano il potere di incantare gli uomini. O le streghe “Sorguiñe”, in particolare una che viveva sul monte Amboto non lontano da casa mia, che anche se non ci credevo molto mi incuteva un po’ di paura.
Credi che le nuove generazioni possano essere attratte ancora da quel mondo di storie, miti e leggende all’Indiana Jones maniera?
Lo spero tanto. È così bello vivere attraverso questi film avventure che ti fanno viaggiare con l’immaginazione. Credo che non moriranno mai gli “Indiana Jones”.
Da artista, qual è, secondo te, il punto di forza di “Gorchlach: the Legend of Cordelia”?
Il fatto di riuscire a far tornare bambino chi lo guarda. Ia fantasia e l’immaginazione ti portano in posti sorprendenti e ti fanno credere a cose incredibili. Gorchlach sorprende.
Tu hai avuto e hai modo di conoscere sia le nostre produzioni che quelle spagnole, qual è l’approccio del mercato produttivo spagnolo verso questo genere cinematografico? C’è differenza rispetto all’approccio che si ha in Italia?
Tutto dipende del tipo di produzione. Se la produzione è indipendente non c’è tanta differenza. Se invece è legata a una TV o a una grossa produzione, devo riconoscere che in Italia è tutto molto più politicizzato, c’è da mediare molto di più e non è facile per un regista creare un lavoro d’autore.