Non ce l’ha fatta Raphael Schumacher, l’attore rimasto strangolato in una scena di impiccagione. È morto ieri a soli 27 anni. Quell’improvvisazione lui l’aveva già fatta un’altra volta ma quella sera aveva voluto cambiare il finale del monologo: niente pistola giocattolo, è passato alla corda. Secondo gli inquirenti non si è trattato di tentato suicidio ma di un eccesso di verità. Lui voleva rappresentare un disagio esistenziale. L’arte allora è finzione o realtà? Secondo Platone essa è mimemis, cioè imitazione del vero. Per Aristotele è uno spazio di possibilità e libertà all’interno di una costruzione. Il teatro poi è ripetizione e quel termine ambiguo il regista russo Stanislavskij non lo pronuciò mai; lui voleva dire “revivescenza”: trovare analogie fra il proprio vissuto e il personaggio da rappresentare. Recitando si gioca sul serio, quello che conta è la sincera parvenza del vero. Una volta quel grande attore che è Giorgio Albertazzi raccontò la mitica uscita di scena di Molière: “È morto poco prima dei ringraziamenti del suo Malato immaginario. È morto in scena!”.
Eppure quella sera, a sipario chiuso, il pubblico pare mormorasse: “Questa sera la scena della morte non l’ha fatta mica bene”. Dio salvi il mestiere dell’attore, quello vero, razza in Italia in via d’estinzione. Riposa in pace Raphael, la tua giovane vita si è spenta sul palco, la casa più accogliente per un artista.
Alle persone normali queste cose non succedono.
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