Viene un po’ da piangere e viene un po’da ridere. Il panorama dei cinema e dei teatri a Roma, il tramonto che abbiamo davanti agli occhi è piuttosto deprimente. C’è voluta la forza pubblica per chiudere il teatro Valle, per riapire e riavviare l’Eliseo, ma è stata la crisi economica che ha determinato il cambio destinazione d’uso e la chiusura di numerosi cinema-teatri. Mancanza di finanziamenti istituzionali, assenza di direzione e progetto, sgomberi e contratti capestro, hanno paralizzato, lottizzato, arrestato l’avviamento di quella spinta propulsiva in senso culturale che tanto manca alla Capitale.
Ripensandoci bene, fino a vent’anni fa, c’erano delle piccole sale, chiamiamole anche cantine, sottoscala con l’aggiunta di Off sull’insegna che hanno riempito dei vuoti interiori, formando e divertendo generazioni di artisti, spettatori e critici. All’Alberichino, alla Scaletta, al Beat ’72, Teatro Colosseo, il teatrino della Fede, il Politecnico; notizia di oggi : chiude il cinema Alcazar. Si fissa nella memoria una teatrografia, una linea, un confine: concepire e fare il teatro o il cinema con una volontà caparbia, tenace, testarda, assurda, controcorrente. Artisti, tecnici, commediografi, macchinisti, cineasti, che ad ogni spettacolo ricominciavano da capo. Il bisogno di metamorfosi nell’abbandonare quasi sempre territori conosciuti, sperimentando ogni volta un nuovo sapere. C’è una toponomastica parallela che è andata svanendo anche nel dopo teatro: momento felice, alcolico, di aggregazione conviviale dove Musil, Jan Kott o Harold Bloom si accompagnavano alla carbonara, Beckett alla cacio e pepe, Campanile al suo piatto preferito: le seppie con i piselli. Nomi e pietanze: come il Cantuccio (si assaggiava la misticanza) Pallaro e il menù per attori (rigatoni al burro) o la bettola di via Monte Giordano(involtini al sugo) e per i più nottambuli La pizzeria Montecarlo a due passi da Campo de’ Fiori con quei fritti indigesti serviti dopo la mezzanotte e il conto fatto al volo sulla tovaglia.
Era il periodo delle contaminazioni, delle passioni estetiche, delle idealità politiche e del vino della casa. Era l’epoca dei progetti e dei laboratori. C’era sempre in questi piccoli antri teatrali un odore di muffa misto a velluto rosso è vero, ma erano spazi di libertà. Il capocomico, il regista astruso, geniale e quasi sempre compreso nel suo ruolo, abbottonato di nero con il lupetto alla Strehler ma guai a fare battute, lui si prende sempre troppo sul serio, cercava però nel lavoro di infondere comunque la coscienza che il teatro ha e deve avere una funzione collettiva. C’era l’intreccio teorico, militante, pratico, produttivo con la propria città. Questa è una Roma sparita. Tutto questo non c’è più. Tornando a perlustrare quei luoghi oggi si possono trovare boutique, jeanserie, pizzerie al taglio, palestre, kebab house e quando proprio ti va bene spunta un centro massaggi orientale che espone l’offerta del mese. E la sperimentazione giovanile? Imbevuta di conformismo, fighetta e sovvenzionata. Già lo si percepisce dalla locandina manifesto, i titoli Off oggi hanno tutti l’hastag: #Verso Ecuba, Studio su #Antigone numero 22, Provando Cassandra, ecc…Luca Ronconi una volta ebbe a dire: “Negli spettacoli di ricerca generalmente si possono individuare delle trovate, raramente trovi un’idea.” Fare l’Opera da Tre Soldi di Brecht con delle Drag Queen? Interessa? Vi sembra un’idea o una trovata? Dopo otto minuti di rappresentazione avrete la soluzione. Sembra che il talento oggi non abbia più una visione o una tensione.
Vige la spontaneità che è tutto il contrario dell’essere artista. Si sanno muovere questi giovani attori sperimentali, scaldano i muscoli per il teatro danza, guardano la platea puntando alla Wuppertal di Pina Bausch, ma non sanno parlare italiano: biascicano, non vogliono portare la voce, affidandola interamente all’infernale microfonino, e voi spettatori, provate a cogliere il senso dell’ultima sillaba se vi riesce. Se lo scrivi o semplicemente lo fai notare a fine spettacolo, ti rispondono che la parola, il verso, la recitazione, sono concetti superati, vecchi, d’antán; se insisti rincarando la dose, ti dicono che sei fascista. Fine del discorso. La sperimentazione sperimenta? La ricerca trova ogni tanto? Vado a teatro e vorrei riflettere, vorrei concedermi una pausa dal rumore, dal bercio o dall’effetto. Vado a teatro o al cinema d’essai dunque. Ma in quale?
Tra voi, signori esperti di teatro e varie, vorrei chiedervi se potete, ad un vecchio 80enne, dirgli dove si trovava il Teatro Kursaal Roma, naturalmente a Roma negli anni ’20.
Tutti i cosidetti esperti di teatro da me consultati finora non mi hanno dato risposta.
Il Testro in questione era di mio bisnonno Quirino Billaud.
Grazie per la collaborazione
Francesco Maria
Bell’articolo!!…..Il “progressismo” incalza,il “fasullo” pure,la noia,i messaggini,l’assenza di dialogo,l’invadenza omosessuale,la “trasgressione”,gli sport “estremi”,carichi di adrenalina,la TV a pagamento,il Festival di Sanremo,il “Grande Fratello”,il “gratta e vinci”,lo “sport”,…cosa vuole che interessi alla maggioranza degli italiani,dedita a questa CULTURA il TEATRO??!!
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