Gli intellettuali italiani tra le frequenze svizzere

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Per la raffinata e prestigiosa casa editrice Casagrande di Bellinzona è uscito un saggio da analizzare ed amare di Nelly Valsangiacomo, docente all’ Università di Losanna e saggista,  “Dietro al microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera (1930-1980)” (pp.176 – Eu 34.00 ). Un saggio appassionante sul ruolo che hanno ricoperto gli intellettuali italiani nell’organizzazione e programmazione della Radio svizzera di servizio pubblico tra il ventennio fascista e gli anni di piombo.

Già Alberto Arbasino aveva parlato de  La gita a Chiasso,  ma quello era un vivace e irriverente j’accuse scagliato contro il torpore provinciale dei letterati italiani “tra le due guerre”, ben esemplifica (con immancabile stile flamboyant) l’ atteggiamento di chi, all’inizio del decennio (1963), volge lo sguardo al passato e, prima di voltar pagina, tira le somme di una stagione ormai conclusa. L‟immagine icastica della “gita” – una rapida fuga dal “ducato in fiamme” – diventa così un criterio di scelta, adombra un paradigma di valore che consente di prendere le distanze e, al contempo, di salvare il salvabile. In ballo c’ è una distinzione fondamentale: da un lato i letterati che “lavorava[no] utilmente in vista del futuro”, dall’ altro “Il gruppetto [che] negli anni Trenta invece di studiarsi qualche grammatica straniera e di fare qualche gita a Chiasso a comprarsi un po’ di libri importanti (tradotti e discussi da noi solo adesso, ma già pubblicati e ben noti fin d’allora) ha buttato via i trent’anni migliori della vita umana lamentandosi a vuoto e perdendo del tempo a inventare la ruota o a scoprire il piano inclinato mentre altrove già si marciava in treno e in dirigibile….” . 

Ma qui andiamo in profondità, qual è stato il ruolo degli intellettuali italiani nella storia della cultura radiofonica svizzera? E quali immagini della Svizzera e dell’Italia sono state veicolate tra il 1930 e il 1980?

Fin dai suoi esordi negli anni Trenta, la Radio svizzera di lingua italiana, emittente nazionale di servizio pubblico rivolta a una minoranza linguistica, attinse a risorse intellettuali esterne alle proprie frontiere politiche, caratteristica che contribuì a definirne il profilo. Durante il ventennio fascista, ad esempio, gli intellettuali italiani poterono esprimersi ai microfoni di questa radio con una libertà che in Patria non si sarebbero concessi: memorabile in tal senso il discorso di Benedetto Croce del 1936. Interessante la presenza di Indro Montanelli e sul suo soggiorno in Svizzera, dall’agosto ’44 al maggio ’45. Le vicende del Montanelli “elvetico”, sono un’abbondanza incredibile di dettagli inediti. Ma non solo la sua storia con il Ticino anche quella di altri giornalisti, scrittori, storici, artisti e rifugiati politici.  Sullo sfondo, una suggestiva Svizzera, terra d’Asilo, ma anche crocevia dei servizi segreti di mezzo mondo. Montanelli approda nel Canton Ticino il 14 agosto ’44, varcando il confine nel Varesotto con altre quattro persone, in pieno giorno. Era convinto, in cuor suo, di riuscire a rifarsi una verginità antifascista. In effetti, qualche titolo poteva vantarlo: la frequentazione di un paio d’oppositori liberali e alcuni articoli irriverenti, pubblicati sul “Corriere della Sera” dopo il 25 luglio. L’8 settembre, ricercato, s’era dato alla macchia. In novembre, il suo nome era comparso in uno sfogo di Mussolini sul “Corriere” contro sei personaggi che s’erano impegnati “a far dimenticare il loro passato di scrittori e soprattutto di profittatori del fascismo”. A febbraio del ’44, era stato arrestato in una villa sul lago d’Orta, mentre cercava di prendere contatti con il comandante partigiano Filippo Beltrami. Quindi sei mesi di carcere, prima a Gallarate e poi a San Vittore, da cui era stato liberato il 1° agosto. Artefice dell’operazione, il “dottor Ugo”, alias Luca Ostèria, un funzionario dell’Ovra, doppiogiochista dell’ultima ora per crearsi qualche credenziale con gli angloamericani. Sollecitato da amici e parenti di Indro, aveva convinto Theodor Saewecke, capo della Gestapo a Milano e responsabile di San Vittore, a includere il giornalista in un gruppetto di detenuti da scarcerare. Giunto in Ticino, Montanelli prende contatti con vari fuoriusciti italiani, tra cui Filippo Sacchi, suo ex collega al “Corriere”. Fu Guglielmo Canevascini, leader storico del socialismo ticinese (che agevolerà il suo trasferimento a Davos, evitandogli il campo di lavoro) a Piero Scanziani, giornalista già direttore del «Fascista svizzero», che mesi dopo lo inviterà nella sua casa di Berna. Da Riccardo Montanelli, un suo cugino medico rifugiato a Davos, ad Aldo Patocchi, direttore del settimanale per famiglie «L’illustrazione Ticinese», che pubblicherà con lo pseudonimo di Calandrino una serie di articoli autobiografici, poi rifusi nel “romanzo” Qui non riposano (settembre 1945): una denuncia della retorica dell’antifascismo e quasi un manifesto ante litteram del qualunquismo. Onde feroci polemiche, che scaveranno un incolmabile fossato fra Montanelli e i fuoriusciti, contribuendo al suo-antifascismo negli anni a venire.

Ma il saggio è ricco di storie e aneddotiche legate alla radio. In seguito, quando le forme dell’intervista e del dibattito tenderanno a scalzare quella della conferenza radiofonica, saranno giornalisti e scrittori come Pier Paolo Pasolini o Eugenio Montale ad approfittare di quello spazio di confronto che la Svizzera italiana offriva loro.

Attraverso l’analisi delle fonti scritte e sonore, molte delle quali inedite, il saggio di Nelly Valsangiacomo ricostruisce un panorama radiofonico complesso e affascinante, animato dalle voci di alcuni tra i più grandi intellettuali italiani, come Elio Vittorini, Maria Corti, Indro Montanelli e Dario Fo. Voci che ora possono essere riascoltate grazie a una pagina web creata a complemento del volume.