Viaggio nei segreti dell’Italia sotterranea

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Viterbo sotterranea

C’è un cuore che batte nel cuore di Roma. Così iniziava una sonata d’amore di Antonello Venditti per la Capitale. Eppure, da nord a sud della nostra Italia pulsa un cuore sotterraneo. La spina dorsale, il rifugio, la storia ed il mito: questa è l’Italia underground. Quella dei sotterranei e dei cunicoli, degli spazi maestosi ed angusti allo stesso tempo è uno scrigno che racchiude la testimonianza della civiltà dagli etruschi, ai primi cristiani, dal medioevo all’epoca contemporanea. Una ricchezza di crescente interesse verso il grande pubblico, italiano e straniero, che alimenta lo spirito di conservazione, della scoperta delle origini e delle storia e che, spesso, parla di noi.

Dal mito, la scienza e la storia alla letteratura

Il senso da attribuire al mondo perduto è stato nei secoli fonte di studio ed ispirazione per molti. È qui che viene a generarsi il mito capace si fondersi con la realtà, l’esoterismo, con il mistero producendo una vasta letteratura sul tema. Dalla mistica sotterranea che sconfina nella leggenda, come ne “Il Dio fumoso”, di Willis George Emerson che narra della millenaria Terra Cava, secondo cui il centro del nostro mondo sarebbe vuoto ed abitato dalle genti di Agarthi, regno a cui si arriverebbe anche dall’Italia, con i due ingressi sull’Isola di Ischia e sull’Isola Bisentina, nel Lago di Bolsena, in provincia di Viterbo, passando per la fantasia dei romanzieri, come quella di Loriano Macchiavelli ne “I sotterranei di Bologna” (Mondadori), un giallo tutto italiano ambientato nei sotterranei della città felsinea o per le visioni di Marcello Simoni con il suo romanzo noir “I sotterranei della Cattedrale” (NewtonCompton), le cui vicende si svolgono nel sottosuolo della Urbino del 1789; e poi “L’altare dell’ultimo Sacrificio” (Piemme)  di Paolo Rodari, che prende vita a Roma nei meandri di Castel Sant’Angelo fino al concepimento del sottosuolo come viaggio ed esplorazione interiore ne “Il viaggio sotterraneo” (Mursia), romanzo  di Francesco Boer.

Tra parascienza, mitologia e fantasia, attraverso la letteratura vi è la testimonianza dell’attrazione inconscia degli uomini per ciò che vive sotto di loro da sempre, capace di stimolare all’esplorazione selvaggia ed al ritorno, nella ricerca delle origini, dei significati primordiali. A ricordarcelo è anche Fabrizio Ardito con il suo “Viaggio nell’Italia sotterranea” (2010, Giunti) che ci guida alla scoperta di affascinanti sotterranei sparsi per la Penisola.

Roma: dai bunker antibombe alla prima frase in volgare

Ha più di duemila anni ma sembra ancora un’adolescente. Roma, la Città Eterna. Nel vociferare dei rioni al mattino presto, tra frotte di turisti impegnati a vivere la città dietro allo schermo di una reflex, vi sarà capitato di notare, camminando, che alcuni punti della città sono ad un livello inferiore rispetto al piano stradale. L’underground capitolino è una fitta rete di cunicoli e chiese, ipogei e dimore, costruzione sopra costruzione, epoca dopo epoca. Un tesoro che fin dagli esordi della civiltà Cristiana parla di noi. Dai bunker antibombe di Mussolini in  Villa Torlonia, a quelli con la cyclette, come nel caso di Palazzo Valentini, in cui era prevista una sorta di impianto a pedali tramite cui i rifugiati in caso di necessità, pedalando a turno, avrebbero tenuto in funzione l’impianto di ventilazione. Da più di 500 chilometri di Catacombe sotterranee, di cui quattro ebraiche ed una che ha ospitato la sepoltura di cinquecentomila Cristiani e sedici Pontefici, come quelle di San Callisto,  alla più antica parolaccia scritta su un muro, forse, il più antico esempio di italiano volgare scritto: “Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!” (Figli di puttane, tirate. Gosmario, Albertello, tirate. Carboncello, spingi da dietro con il palo!). Un fumetto ante litteram, risalente all’ XI secolo, conservato su un muro dei sotterranei della Basilica di San Clemente, in via Labicana, a due passi dal Colosseo, ambiente a venti metri di profondità, in cui si riposano l’antica chiesa paleocristiana ed un Mitreo del II secolo d.C.

Sotto il piano del calpestio tra le vie del centro si può trovare davvero di tutto. Sotto il civico 27 di Via Veneto, quella dal sapore dandy, dell’Ambasciata degli Stati Uniti e de “La dolce vita” di Fellini, esiste una cripta fatta di ossa. Più di 4.000 ossa appartenute a frati morti tra il XVII ed il XIX, infatti, compongono architettonicamente le volte, i lampadari dell’ossario, arrivando a creare dei motivi decorativi sulle pareti. Il sottosuolo romano è proprio come Roma: misteriosa e malandrina, sacra e paracula; ne doveva sapere qualcosa Pomponio Leto, fondatore dell’Accademia Romana, noto restauratore di ideali pagani nella Roma quattrocentesca, suo malgrado, scopritore di catacombe: egli ed i suoi accoliti, pare si recassero al di sotto del suolo romano per compiere rituali pagani, in nome della cosiddetta “antica religione” e per sollazzarsi con qualche allegra signorina dell’epoca, tanto che sul muro di una catacomba vennero ritrovati incisi i nomi dei componenti dell’Accademia e la frase: ”Pomponius deliciae puellarum romanarum” (Pomponio Leto, la delizia delle fanciulle romane); non contento, cospirò contro il Papa nel tentativo di proclamare la Repubblica romana e si fece eleggere Papa – Pontifex Maximus, come rinvenuto su un’iscrizione murale – da suoi adepti.

Ognuno di questi luoghi è visitabile eppure, di sicuro, Roma è ancora tutta da scoprire, come testimonia il recentissimo ritrovamento di una dimora arcaica del VI secolo a.C., sotto Palazzo Canevari. Una scoperta capace di ridisegnare, secondo gli addetti ai lavori, la mappa della’antica Capitale e di rivoluzionare l’idea di sviluppo urbanistico cittadino per come lo conoscevamo oggi.

Nei meandri dell’inquisizione

La trovi alle porte dell’Umbria, al confine con il Lazio. Nei suoi confini c’è il centro geografico d’Italia e la frazione di Schifanoia, l’anticristo delle frazioni di provincia. La terra natia dell’imperatore Cocceio Nerva, la stessa che ha ispirato C. S. Lewis  per le “Le cronache di Narnia”. Dall’antica Roma al medioevo, con il suo retaggio leggendario, ancora vivo, Narni testimonia una vita sotterranea all’insegna del macabro. Il sottosuolo narnese, che comprende una vera e propria città, conserva i segni della Santa Inquisizione. I graffi, esattamente. Nei sotterranei dell’antico convento domenicano di Santa Maria Maggiore – aperti al pubblico  – tra una chiesa rupestre del XIII secolo ed una cisterna romana, giace la “Sala dei tormenti”,  il cui nome è stato rinvenuto da documenti custoditi nell’Archivio Segreto Vaticano e, contemporaneamente, al Trinity college di Dublino. Nelle due celle attigue alla sala, vi sono ancora i graffiti incisi dai condannati per conto del Tribunale dell’Inquisizione, molti dei quali ancora non decifrati del tutto.

Il mistico dna di Orvieto

T’affacci e lo sguardo cade a piombo per più di sessanta metri. Un cilindro marmoreo, ricoperto da 72 finestroni che s’infila nel terreno. La leggenda lo avvicina agli inferi ed al paradiso, a San Patrizio e all’Irlanda. Nel cuore di Orvieto risiede il suo Dna, scalino dopo scalino. Tra più di milleduecento cavità artificiali della Orvieto Underground, tra le più note d’Italia, ve n’è una davvero particolare, tranquillamente visitabile. Nel punto più basso della città sorge il famoso Pozzo di San Patrizio, visitabile fino in fondo grazie a due comode rampe di scale che si inabissano per circa sessanta metri all’interno della canna del pozzo stesso. Un’opera ingegneristica incredibile, progettata nella prima metà del ‘500 su incarico del Papa Clemente VII, che doveva fungere da approvvigionamento idrico durante gli assedi. Le due rampe di scale si avvolgono tra loro come la doppia elica del DNA, una a scendere, l’altra a salire. L’ingegnoso sistema consentiva di arrivare direttamente all’acqua con gli stessi animali da soma, risalendo poi senza intralciarsi con chi a sua volta scendeva.

La più grande piscina romana

Napul è mille culure, cantava Pino Daniele. È lo è per davvero, mille volti e leggende, come quella dei Munacielli, piccoli esserini che sbucavano dal sottosuolo direttamente nelle case dei napoletani, al cui senso si riportava una sensazione scaramantica, razionalizzati nella figura dei pozzari, ovvero gli operai manutentori degli acquedotti. Nel festoso tram tram della città partenopea si nasconde la realtà sotterranea, forse, più conosciuta d’Italia. Dal Teatro Greco, al Tunnel Borbonico, “i primi manufatti di scavi sotterranei a Napoli risalgono a circa 5.000 anni fa, quasi alla fine dell’era preistorica. I Greci, dal sottosuolo napoletano, estrassero il tufo ed i romani si concessero un vero lusso (necessario): la Piscina Mirabilis, la più grande cisterna mai costruita dagli antichi romani, visitabile ogni giorno fin dal mattino. Scavata interamente nella parte centrale di una collina, la Piscina Mirabilis serviva per fornire acqua alle navi della marina militare romana attraccate al porto di Miseno. 15 metri di altezza, 72 di lunghezza, con una capacità di 12.000 metri/cubi è sostenuta da soffitti a volta e da ben 48 colonne. Anche la millenaria storia del sottosuolo partenopeo è legata alle acque a tal punto che nella città di Pulcinella è andato in scena – e visto che parliamo di Napoli è proprio il caso di dirlo – un processo al sottosuolo. Una singolar – letteralmente – tenzone che ha visto i pozzari contro i fontanieri, l’ingegner Clemente Esposito in difesa degli addetti ai pozzi e il collega Bruno Miccio per i responsabili delle fontane pubbliche, come ricorda il Corsera. Il pretesto del contenzioso? Ricordare le vicende millenarie del sottosuolo napoletano. L’udienza che ha visto il fantomatico confronto tra le due principali categorie professionali legate alle acque era intitolata: “Le antiche acque di Napoli: era meglio la gatta morta”. Storie, luoghi e curiosità al centro del dibattito come quella dei gatti morti gettati nei pozzi per mano malandrina di alcuni operai, evidentemente poco campioni di professionalità,  allo scopo di ottenere un nuovo incarico “con la forza” dai proprietari delle case sovrastanti, accelerando così i tempi di richiesta dell’intervento.

Bologna, la “Piccola Venezia”

Anche la storia sotterranea della città felsinea è strettamente legata alle acque tanto da essere chiamata “Piccola Venezia”. Bologna, nei secoli scorsi, era attraversata da una intricata rete di canali navigabili, oggi completamente ricoperti da cemento, dismessi. Nel sottosuolo del capoluogo Emiliano, vi è testimonianza pressoché di ogni epoca. Percorrendone i canali che si svolgono sottoterra si va dalla più antica cinta muraria cittadina , di origine romana, ai segni, tutt’ora ben visibili, lasciati dalle ginocchia delle lavandaie che hanno letteralmente scavato la pietra su cui si appoggiavano ogni giorno per lavare i panni in un antico lavatoio sotterraneo; dall’iscrizione murale di un tale Ernesto che “nel 1893, Agosto 28 fece manutenzione” in un muro dei sotterranei bolognesi, al foro, posto esattamente sotto l’incisione di fine ‘800, con cui la “banda del buco”, negli anni ’70, tentò di raggiungere la banca sovrastante per svaligiarne il caveau, ancora ben visibile. La storia delle acque è legata a stretto giro con quella della città e del sottosuolo. Né è testimonianza anche un’opera del tutto originale: la Cisterna di Valverde, chiamata anche “Bagni di Mario”, realizzata in epoca rinascimentale per alimentare la Fontana del Nettuno in Piazza Maggiore, un grande contenitore d’acqua sotterraneo finemente affrescato, addirittura con delle statue al suo interno, oggi perdute. Per info: amicidelleacque.org

L’altra Berlino, quella italiana

Esiste un’altra Berlino fuori dai confini alemanni. È in Italia ma è più piccola: la “Kleine Berlin”. Il sottosuolo di Trieste è un complesso intrigo di canali adibiti a protezione dalla bombe. Talmente grande da essere il più esteso complesso di gallerie antiaeree risalente alla seconda guerra mondiale. Divisa in due tronconi, quella italiana, adibita dal Comune di Trieste a rifugio antiaereo per i cittadini, e quella tedesca, utilizzata per scopi militari, la Piccola Berlino è interamente visitabile e conserva ancora i resti originali della vita al suo interno, come parti dell’impianto elettrico, di ventilazione ed idrico, tra cui rubinetti e gabinetti.

Dal sottosuolo per difendere i più deboli

Tra le numerose cripte conservate sotto la città ed i Qanat, i cunicoli sotterranei risalenti alla dominazione araba che avevano il compito di intercettare e trasportare l’acqua in città, tra le cosiddette “Camere dello scirocco”, camere sotterranee utilizzate per fuggire dal caldo estremo e lunghi corridoi che collegano diversi punti della città, la Palermo underground è legata ad una setta di giustizieri. Di misteri, la città, ne nasconde parecchi ma ce n’è uno che va avanti da secoli, che si incrocia con il suo sottosuolo: quello dei Beati Paoli, una setta segreta, operante intorno al XV secolo; un manipolo di uomini di robinhoodiana memoria. Pare, infatti, che gli adepti, fortemente spinti dal senso di giustizia sociale, diedero vita al nucleo con lo scopo di proteggere i deboli e gli oppressi dagli abusi dei nobili locali. I Beati Paoli, si spostavano, affiliavano nuovi elementi e giustiziavano a colpi di pugnale nei meandri del sottosuolo palermitano, sfruttando in particolare una grotta – la grotta dei Beati Paoli ndr – accessibile da Vicolo degli Orfani. Un ponte rituale che ha permesso ad alcuni, nel tempo, di ipotizzare che proprio dalla setta dei Beati Paoli nasca l’idea primordiale di mafia. Attraverso le dichiarazioni di vari mafiosi collaboratori di giustizia si ritrova l’ accenno ai Beati Paoli, dai quali Cosa Nostra avrebbe fatto discendere i rituali di iniziazione, come ricorda Repubblica. Il primo a parlarne fu Leonardo Vitale, il quale nel marzo del 1973 riferendo della sua affiliazione alla mafia, citò il rito sacro dei Beati Paoli. Anni dopo anche Tommaso Buscetta confermò in pieno il racconto di Vitale confermando, alla presenza di Giovanni Falcone, i pilastri stessi di Cosa Nostra, plasmati sulla difesa dei più deboli dai soprusi dei potenti, sulla famiglia, sul rispetto della parola data, sulla solidarietà e l’onore. Leggenda, diceria o reale ispirazione, la vicinanza dei precetti mafiosi con la setta dei Beati Paoli è tangibile. Suggestioni percorribili ancora oggi (associazione turistica-culturale Palermocultour: [email protected])

Il soldato che salvò Torino

La Torino del triangolo della magia bianca e di quello della magia nera. Una città misteriosa, esoterica. Con il suo magnetismo ha attirato a sé Cagliostro, Paracelso e Michel De Nostredame – Nostradamus ndr – per via delle sue grotte alchemiche. Eppure, l’eco del coraggio che risale dal suo sottosuolo aiuta a raccontarne l’identità. Tra cunicoli, gallerie e resti di antiche civiltà, la storia di Pietro Micca, il soldato che salvò Torino. Sotto Corso Matteotti vi è parte della cosiddetta Cittadella di Torino, simbolo della resistenza dei Savoia. La Cittadella, di pianta ottagonale, era disseminata di gallerie sotterranee che arrivavano fin fuori le mura. Vi erano tunnel, chiamati Capitali, che attraversavano tutta la costruzione ed altri utilizzati per raggiungere i “fornelli”, opere militari utili alla difesa del forte. Nell’agosto del 1705 i francesi arrivarono alle porte di Torino ma fallirono il primo assalto. Nel 1706 tornarono nuovamente all’attacco. Torino si preparava alla difesa. Sul finire del mese, le truppe d’oltralpe riuscirono ad irrompere in una delle gallerie che dava accesso al forte ma la trovarono sbarrata. Oltre quella protezione vi era Pietro Micca, di guardia proprio in quel settore. Il soldato sabaudo vedendo sfondare la porta che lo separava dai granatieri francesi innescò la miccia corta e fece esplodere la carica, preparata precedentemente nel fornello da mina, facendo crollare la volta delle scale che cadde rovinosamente sugli avversari. Il coraggioso soldato piemontese ed i francesi riusciti a penetrare nella galleria in gran numero ci lasciarono le penne. Qualche giorno dopo l’assedio francese si concluse con una sconfitta.

Il coraggio, questa volta, non arriva dalle retrovie ma da sotto terra, in un punto nascosto nel caos, raggiungibile dai più stoici visitatori. Fu anche per merito del gesto di Pietro Micca che Torino, e l’Italia, si salvò dalla rovina.

Viterbo e Cremona: sotto il suolo tra sacro e profano

La città dei Papi, quella in cui fu indetto il primo conclave della storia. Viterbo, con il suo quartiere medievale più grande d’Europa, conserva sotto di sé i resti di un antico passato. “Viterbo Sotterranea” ed i cunicoli di epoca etrusca scavati nel tufo fino ad otto metri di profondità, divenuti un autentico labirinto fatto di passaggi segreti che servivano a mettere in comunicazione le strutture nevralgiche e strategiche della città. Poi Cremona, con l’Ipogeo di Sant’Abbondio, sotto l’omonima Chiesa, edificato intorno agli anni Trenta del ’600 per la sepoltura dei membri della comunità religiosa dei Teatini. Purtroppo l’Ipogeo non è aperto al pubblico in quanto il sito è soggetto a deperimento.

Tra il progresso umano e il degrado di superficie, nei meandri si conservano le radici

L’essenziale, talvolta, è invisibile agli occhi, soprattutto in questo caso. Essenziale per salvarsi la vita o per la sopravvivenza della civiltà. Invisibile, nascosto alla routine dei piani alti, aperto alla quotidianità da ingressi ristretti, alcuni quasi proibitivi, altri mimetizzati tra le vie, magari protetti da un cancello o da lunghe scalinate. Quello dell’ ‘Italia di sotto’ è un vero e proprio mondo parallelo destinato, oggigiorno, al consumo scientifico o turistico, un tempo, luogo di vita. È qui che, nella geometria e nel fascino del mistero, continua il viaggio, mentre di sopra tutto si svolge freneticamente, tra l’incuria dei regnanti ed il progresso che avanza e snatura, mentre “sotto” le radici di una cultura, di una civiltà millenaria sono ben salde, a conservare ciò che fu.

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Emanuele Ricucci
Emanuele Ricucci, classe ’87. È un giovanotto di quest’epoca disgraziata che scrive di cultura per Il Giornale ed è autore di satira. Già caporedattore de "IlGiornaleOFF", inserto culturale del sabato del quotidiano di Alessandro Sallusti e nello staff dei collaboratori “tecnici” di Marcello Veneziani. Scrive inoltre per Libero e il Candido. Proviene dalle lande delle Scienze Politiche. Nel tentativo maldestro di ragionare sopra le cose, scrive di cultura, di filosofia e di giovani e politica. Autore del “Diario del Ritorno” (2014, prefazione di Marcello Veneziani), “Il coraggio di essere ultraitaliani” (2016, edito da IlGiornale, scritto con A.Rapisarda e N.Bovalino), “La Satira è una cosa seria” (2017, edito da IlGiornale) e Torniamo Uomini (2017, edito da IlGiornale)

3 Commenti

  1. Scusate, ma non si parla di Mario Tozzi nell’articolo ?!? Aveva già pubblicato il libro “Italia Segreta” eaattamente sugli stessi punti ..trattatati nel vs articolo.

  2. Mi occupo di scrittura creativa e ogni volta che leggo un articolo, bello come il suo, rosico un po’ e vado a molestare l’autore; insomma lo devo punire!
    Lei fa un uso quasi ossessivo delle d eufonica; passi per “ed i romani”, “ed i Qanat”, “ed i cunicoli”, “ed una cisterna”, ma “egli ed i suoi accoliti” “mi ha sfiancato, quasi avvilito. Un po’ scherzo: so bene che non vi è una norma precisa che regola la eufonica. Complimenti per l’articolo così interessante e non me ne voglia.

    • noi di prassi saremmo per la d eufonica solo se interposta a vocali ugauli; “ed era”, ma non “ed aveva”. poi ognuno, come per la punteggiaura, fa un po’ come gli pare ,,,..::,;;;

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