Psicoanalisi di un Occidente smarrito

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L’Occidente è il cuore della convivenza degli oppofoto articolosti: noi e il resto del mondo. Cosa si intenda per Occidente è difficile spiegarlo. È chiaro però, qualsiasi cosa esso indichi, che oltre a essere ferito è soprattutto ammalato. Ci pare quasi di vederlo, estraniandoci per un momento, mentre in preda alla tristezza si accomoda sul lettino dello psicoanalista. L’istinto grida vendetta. Intima e inarrestabile è la voglia di scagliarsi contro il nemico. Nel condannare l’offesa ricevuta, l’Occidente deve allo stesso modo riflettere su ciò che esso è o vuol diventare.

Il nostro sistema fatto di partiti e leader liquidi, di culture fluide ed evanescenti, privo di punti fermi, paga forse l’essersi tramutato nel favoloso mondo del ludico e delle libertà. Come rinunciare a tutto questo, pure fosse solo una ingannevole apparenza?  Come può l’Occidente riconoscere le proprie responsabilità e soprattutto ripensarsi agli occhi della tragedia che lo ha colpito e continua a incombere su di esso?

Bisogna forse trovare un compromesso fra la volontà dell’Occidente di rimanere il luogo della libertà e della tolleranza e la necessità di accettare uno stato di eccezione permanente che lo metta nelle condizioni di tutelare tale libertà. Nel contesto globale e reticolare nel quale viviamo non vi è reciprocità. La compenetrazione fra le culture provenienti dai luoghi del mondo fra loro più distanti crea un intreccio che è positivo per la ricchezza sociale che alimenta, ma presenta contemporaneamente aspetti molto critici.

Vi è chi considera le azioni dei terroristi come conseguenza della loro invidia verso una parte del mondo nella quale non riescono ancora a riconoscersi pur abitandola.  Altri credono che il fine dei terroristi possa essere quello di dimostrare il nostro decadimento, il fallimento del nostro mondo materialista cui contrappongono una visione spirituale, declinata personalmente in una forma violenta e sprezzante pure degli insegnamenti della loro religione.

Nella tragedia che si iscrive sulla carne dell’Occidente, nel nostro smarrimento, nell’assenza simbolica, vi è paradossalmente la possibilità riscoprire la nostra essenza: la capacità di essere il crocevia delle culture facendo valere una metacultura, quella che consente di ricondurre alla ragione creativa le diversità. La nostra cultura ha la forza di essere un medium che ingloba le altre culture rispettandole e edulcorandone fanatismi ed eccessi.

Si è certamente usurato il sentimento di grandezza così come il senso di superiorità dell’Occidente. Abituato a riconoscersi in relazione all’Altro come il migliore dei mondi possibili, lontano ormai da lotte fratricide, oggi si riscopre un mondo fra i mondi. L’Altro, in cui si rifletteva riconoscendosi per opposizione e distinzione, si è confuso con le sue stesse membra. Nel bene e nel male. L’uomo prometeico, mito fondativo del pensiero occidentale, che si illudeva di poter continuare nel perseguimento di un progresso lineare, deflagra oggi nel presente, tragicamente trasformatosi in un continuo stato di tensione. Terrore quotidiano. La strage di Parigi forse ha segnato l’inizio di una lunga fase di autocoscienza dell’Occidente. Non può fingere che gli sia estraneo il male che gli è endogeno, un’appendice che gli appartiene.

L’Occidente con l’artificio ha esautorato la parte maledetta che è inscindibile dalla vita quotidiana e ha omesso la morte, estromettendola ai margini della nostra quotidianità. Il terrorista utilizza invece la morte come catarsi, una potente forma di non vita che realizza la gloria perpetua del kamikaze sublimandosi come moltiplicatore di vita e consenso per il Califfato e i suoi sostenitori.

Gli uomini del terrore la morte la vedono camminare al loro fianco, nel loro vissuto quotidiano, fra i corpi ammassati privi di vita. La scelgono come destino per volontà propria, incarnandone la forma sacrificale che attende solo di compiersi. L’Occidente, di contro, lotta contro la morte in nome della giovinezza infinita, della vita eterna, cerca di sfuggirle rifugiandosi nella bellezza artificiale.

A Parigi l’Occidente si è guardato allo specchio, e cercando sul suo corpo decadente una fiammata di vitalità si è purtroppo accorto che questa volta non sarà un lifting a salvarlo.