
“Bisogna salvare le periferie”, dice il senatore architetto Renzo Piano dall’altro del suo scranno. “Riqualificare le periferie è la sfida di questo secolo” gli fa eco il ministro della cultura Dario Franceschini. Lo trova un tema cruciale, l’archistar Daniel Libeskind. Non a caso il curatore della Biennale Architettura 2016, Alejandro Aravena, è il fondatore di Elemental, una struttura privata che fa ricerca e produzione per l’housing a basso costo e alto impatto sociale in Cile.
A maggior ragione, il curatore del collaterale Padiglione Italia, Simone Sfriso, propone per il suo progetto il titolo molto veltroniano “Taking Care – progettare per il bene comune”: prova tangibile di come l’architettura possa contribuire a diffondere e rendere efficaci i principi di cultura, socialità, partecipazione, salute, integrazione, legalità in qualsiasi luogo e a qualsiasi scala.
E sia. Ma attenzione: affidare le periferie agli architetti è un po’ come voler dare la gestione degli immigrati ad Eichmann. Le periferie più degradate sono degradate spesso per colpa degli architetti, specie i più famosi del Novecento: grandi ideologie, magnifiche utopie egalitarie, mancanza totale di realismo, costruzioni orrende. Ci vorrebbe meno housing, ma più umanità per capire come vuole vivere una persona, e in quale casa.
Povera Italia ! e non solo per le orrende periferie…
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