Il “Bugiardo” di Goldoni per la regia di A. R. Arias è una sontuosa festa popolare in bilico tra le due città marinare di Napoli e Venezia. Il millantatore Lelio, cresciuto all’ombra del Vesuvio sbarca sulla laguna per continuare mietere successi e accrescere le sue fortune di sciupafemmine. Dopo aver raccontato al padre, che rivede dopo vent’anni, e che vorrebbe maritarlo alla bella Rosaura, tutte quelle strepitose bugie che hanno reso celebre la sua maschera, pronuncia davanti a lui il suo credo “sfido il più grande gazzettiere d’Europa a inventarsi una puttanata come questa”.
Continua così la sua strepitosa irresistibile ascesa di Don Giovanni da strapazzo con quel fuoco di fila di magnifiche trovate e di strepitosi qui pro quo di cui è capace un attore come Geppy Gleyeses. Mentre sul palco c’è anche un giovane e irriverente Arlecchino sempre assediato dalla fame (interpretato da Lorenzo Glejeses) che si sfoga in volate atletiche aggrappandosi a quel millantatore sopraggiunto da Napoli. Ma, come si dice, non tutte le ciambelle riescono col buco, ed ecco profilarsi un ostacolo imprevisto. Ossia, oltre all’invenzione di un’ aristocratica moglie napoletana, che per il momento noi non vediamo, c’è una giovane appellata la Columbrina che afferma di essere, pure lei, una delle sue dolci metà. Che fare? Non ve lo riveleremo.
Vi basti sapere che all’improvviso il regista Arias come è sua abitudine pur tenendo per mano Goldoni e il suo mito, di colpo avverte il suo pubblico che questo canovaccio di base va assunto come una creazione testuale in toto. Ed è così che lo spettacolo pur ammirando il testo di partenza e facendolo risplendere di luce propria si trasforma in una gigantesca féeriee sul mito dello spettacolo totale dove persino le signore che affollano la pièce dalla spiritosa Rosaura (di Marianella Bargilli) alla capricciosa sorellina interpretata dalla stupefacente (Valeria Contadino) diventano pedine di un gioco al quadrato. Tanto è vero che citano tutti insieme una celebre canzone di Patty Pravo elevando un inno in onore della Bambola-Patty. Tra lo stupore del padre nobile (di Andrea Giordana) che si impone a poco a poco di fronte alla scempiaggine del figlio debosciato sciogliendosi, come neve al sole, davanti alle canzoni dell’eclettico Gennaro Cannavaciuolo. Prima che il Gran Finale scopiettante di fuochi d’artificio e mortaretti sciolga in un inno al ritrovato savoir faire di Lelio che Gleyeses trasforma nel “Miles Gloriosus” di Plauto.
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Napoli Teatro Festival, Castel Sant’Olmo