“Piove”, webserie sciocca per spettatori intelligenti

0

“Politicamente scorretto” lo diciamo più di “tette”, “apericena”, “Saviano” e “moviola”. Semplice inferenza esperienziale (nessun dato alla mano), ma provate a negarlo. A dimostrazione di quanto siamo più sudditi che cittadini, certo, ma soprattutto di quanto non sappiamo divertirci per divertirci. “Politicamente scorrettissima” è stato scritto e detto della web serie Piove che, però, è qualcosa di migliore: un prodotto – spassoso – di intrattenimento, che non vuole insegnare nulla, nè procedere per anamnesi e diagnosi della realtà, eziologie, allegorie, parodie.

Web serie ideata, scritta e prodotta dalla Drive Production Company (casa di produzione di Nicolas Vaporidis; Matteo Branciamore e Primo Reggiani) e ospitata da Yahoo Italia, “Piove” è una raccolta di interviste, condotte da Matteo Branciamore (adorato per I Cesaroni e ora in forma più smagliante, senza traccia di ragazzo del parcheggio accanto), ad attori e bei tipi del meraviglioso mondo dello spettacolo. Quello che gli americani chiamano “Star System” e che da noi è meno star e, per fortuna, pure meno system.

Gli ospiti di Piove si prestano al gioco di chiacchierate sciocche – perché volutamente sciocco è Branciamore- e tengono in piedi un siparietto vivacissimo, che è pura performance. È tutto preparato (nessuno ha mai picchiato Branciamore, pare), anche se sembra il contrario. Sospensione dell’incredulità più che riuscita: bravi gli autori e bravi gli intervistati, che reggono il gioco perfettamente, a volte lo vincono anche, come accade da David Letterman.

Branciamore, nei panni dell’intervistatore, è sgradevole (specifichiamo: fa lo sgradevole) perché invadente, prima leccaculo e poi avvoltoio e poi ancora leccaculo (stupenda la puntata in cui fa piangere Antonello Fassari, mettendolo sul podio dei più grandi romani insieme a Mattioli e dimostrando in poche battute che la vanità da prima donna degli attori è tanto un vezzo quanto un’esigenza di sopravvivenza). La serie funziona perché è libera, non tanto concedendosi spregiudicatezze, irriverenze o facendo il verso a talk show, dove la parola “fica” non si pronuncia – ma trasuda come il sesso in epoca vittoriana – e nemmeno ricordandoci quanto palloso e snob sia l’ottimismo di Fazio, quanto piuttosto perché i suoi autori se ne fregano delle etichette.

Si concedono il lusso di fare gli stupidi e non per non andare alla guerra: si prendono in giro. Meravigliosi, forse anche più dei ragazzi di Between two ferns, serie americana cui si ispirano, non fosse che per una sola ragione: sono nostri, italiani e mentre ci fanno ridere di peccati, vizi e vezzi collettivi, puntano il dito contro loro stessi, anziché contro pubblico, società, zeitgeist o blablabla. Niente satira, nessuna connotazione pseudo sociologica e, soprattutto, nessuna demenzialità: Piove è un prodotto intelligente, non ha bisogno di sottolinearlo attraverso rimandi espliciti o parodie.

In questo senso, oltre che intelligente, è consapevole dell’intelligenza dello spettatore: non lo imbocca, non lo instrada, sa bene che farlo significherebbe ammettere che la cultura mediatica ha più autorità sull’educazione morale delle persone di quanta non ne abbiano scuola, famiglia, cervello. La paideia di Fazio non è bersagliata, almeno non intenzionalmente, però è inevitabile che venga in mente. Basta pensare ai nomi: “Che tempo che fa”, ovvero “adesso vi diciamo dove vanno presente e futuro”. “Piove”, ovvero “se uno viene ospite da noi, sa già che andrà tutto uno schifo” (Branciamore, ridendo, dixit).