I dolori del giovane Kurt. Gli inferni della rock-star

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Kurt Cobain (Aberdeen, 20 febbraio 1967 – Seattle, 5 aprile 1994)
Kurt Cobain (Aberdeen, 20 febbraio 1967 – Seattle, 5 aprile 1994)

Forte. Psichedelico. Intenso. Un continuo pugno nello stomaco. Questo è Cobain – Montage of Heck documentario sulla vita di Kurt Cobain, fondatore dei Nirvana, gruppo che ha portato al successo il genere musicale del grunge e più in generale l’alternative rock rinnovando il panorama musicale tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Il documentario è frutto di un lavoro di ricerca durato quattro anni e condensato in 132 minuti che portano la firma del regista Brett Morgen, già autore nel 2012 di “Crossfire Hurricane”, documentario incentrato sui primi anni dei Rolling Stones.

La struttura narrativa si sviluppa seguendo contestualmente due linee temporali che si intersecano tra loro sin dall’inizio. Così se il racconto segue l’ordine cronologico della vita di Cobain, al contempo lo spettatore viene immerso in un continuo presente dove ora le canzoni, ora le interviste e spesso la voce dello stesso Cobain attualizzano immagini, ricordi e persino odori che hanno accompagnato la vita di questo artista, scomparso suicida a soli 27 anni.

Il documentario si divide in tre atti, nel primo atto viene raccontata l’infanzia di Cobain che è per inciso sia l’unico momento di serenità nella vita del cantante che, al contempo, la fine della pace fanciullesca e l’inizio della sua discesa negl’inferi. Il racconto è centrato, ha un buon ritmo e rende ottimamente il lento ma inesorabile cambiamento emotivo di Kurt, figlio di un’America serena e paciosa, in Cobain, giovane turbolento e irrequieto che non accetta la separazione dei genitori. Il tutto viene arricchito da interviste ai genitori di Cobain, alla sorella, alla prima fidanzata e a Krist Novoselic. Il punto di svolta nella storia e nella produzione musicale di Cobain è rappresentato dalla solitudine del fanciullo che, abbandonato e tradito dai genitori, non riesce a farsene una ragione, rinchiudendosi in se stesso e amplificando il dispiacere al punto da trasformarlo in rabbia ceca e furiosa, così essenziale e coinvolgente da sfociare nei testi che hanno fatto il giro del mondo.

Nel secondo atto assistiamo invece a un Cobain in età giovanile, tormentato dai soliti problemi e dal rifiuto sociale di cui era vittima ma che tuttavia inizia anche ad abbracciare il successo. Il documentario rende ottimamente l’assoluta incapacità da parte di Cobain di gestire la fama e tuttavia la sua spasmodica necessità di arrivare a ottenerla e viverla. Il secondo atto del documentario viene reso con toni decisamente più cupi, psichedelici, mentalmente disordinati, il tutto per immergere lo spettatore nel caos mentale del cantante che lo porterà a sancire l’inizio del sodalizio con le droghe, specialmente l’eroina. Cobain ha vissuto abusando di eroina per placare dei dolori allo stomaco che non gli davano tregua e che lui stesso ha giustificato come utili e necessari per comporre ciò che è stato fatto. Viene quindi resa la trasfigurazione dell’artista contemporaneo, il dolore come via obbligata per analizzarsi e conoscersi.

Nel terzo atto infine viene presa in esame l’ultima parte della vita del cantante, il rapporto, maniacale e ossessivo, con Courtney Love e la nascita della figlia. Un Cobain sempre più a disagio col successo, che non trova la chiave per riuscire a far convivere le due anime che da sempre lo hanno composto, quella dell’uomo tormentato e al contempo quella del padre amorevole che promette eterno amore alla figlia e che vive con l’ansia che un giorno gliela possano portare via. Cobain non riuscirà mai a staccarsi dalla droga e questo segnerà irrimediabilmente la direzione del suo cammino. Cobain era sostanzialmente un’anima gentile, un filosofo di cruda ed essenziale finezza, un Peter Pan anticonformista distrutto dalla fine del suo nido familiare inteso come “isola che non c’è”.

D’altro canto se il documentario analizza bene le fasi, lo sviluppo e il collasso di Cobain, gli atti sono delineati in maniera poco fine, con le interviste che si condensano praticamente solo nel primo atto a eccezione di qualche intervento di Courtney Love. Inoltre c’è una colpevole omissione di approfondimento, durante il terzo atto, sulla fine e la morte del cantante. Resta comunque un prodotto accurato e sincero che permette anche ai non amanti dei Nirvana o di Cobain di scoprire meglio e più a fondo una delle figure più influenti degli anni Novanta. La colonna sonora è meravigliosa e ripercorre le tracce più celebri e autoritarie del gruppo. In conclusione quindi Cobain – Montage of heck risulta uno sguardo onesto, intimista e vagamente nostalgico sul ragazzo Kurt prima ancora della star Cobain. Moderno esempio di dottor Jekyll e mister Hyde con una mente finissima e una sensibilità disarmante.

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