La caduta degli dèi. Oggi sono tre anni. Tre anni dalla morte di Alberto Sughi, riconosciuto eroe della pittura del secondo Novecento, un gigante, paragonabile, anche per certe affinità partitiche, a Renato Guttuso. Cesenate, autodidatta, si perfezione a Torino e giganteggia a Roma, dove, nel 1956, alla Galleria del Pincio, tiene la sua prima personale. Baciato da un talento immediatamente riconosciuto, Sughi è di casa alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma (di cui, per un periodo, è presidente), espone ovunque, sue opere sono custodite, per dire, ai Musei Vaticani, agli Uffizi, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna.
«Se la storia dell’arte avesse ancora una direzione e la pittura un senso, Sughi sarebbe guardato con la stessa ammirazione e con lo stesso profondo rispetto riservati a Enrico Berlinguer, come protagonista, testimone e osservatore di una storia complessa e difficile», ha scritto Vittorio Sgarbi nel 2007, nel contesto dell’ultima grande retrospettiva, alla Biblioteca Malatestiana di Cesena.
Tre anni dalla morte di Sughi, otto dalla mostra curata da Sgarbi. Nel frattempo non è accaduto nulla. Il titano dell’arte, con le amicizie politiche giuste (una concreta militanza nel Pci, è stato, anche, il pittore delle inquietudini della sinistra italiana), è atrocemente dimenticato. Sparito. Come se non esistesse. «Non succede niente, nessuna commemorazione, dalla morte di Alberto non mi ha più contattato nessuno», mi dice Bruna, compagna di Sughi per 35 anni. Niente, niet, il Comune di Cesena ignora il suo cittadino più celebre, il Mibact si occupa, probabilmente, delle disperate sorti e progressive della cultura nostrana, i compagni di partito figuriamoci, la sinistra non esiste più, scordiamoci il passato.

Le opere di Sughi, infatti, giacciono in ghiacciaia. Pare che i figli, a capo dell’Associazione Culturale Archivio Sughi, vogliano creare un museo permanente a Forlì: atto importante quanto rischioso. Al momento, però, è tutto bloccato: la signora Bruna vorrebbe pubblicare le lettere di Sughi, che raccolgono «i suoi pensieri su vita, amore e sofferenza». Al momento, non se ne è fatto nulla. «Avevo chiesto a Sergio Zavoli una introduzione, ma anche lui si è dileguato».

Con una parola tanto cara all’attuale premier, la cultura di sinistra ha “rottamato” Sughi. Con la ghignante complicità dell’apparato statale, in una sorta di sinistra vendetta: chi era tenuto in palmo di mano dal partito, adesso è recluso nel pugno, disintegrato.