Le grandi imprese partono dai luoghi periferici, osannati dall’esilio. Borgomanero è un paese infelice, sulle rive plumbee del torrente Agogna, a uno sputo di cemento da Novara, benedetto dall’odore acido del Lago d’Orta. Eppure, quando qualcuno, tra decenni, tenterà di impalcare una storia plausibile della poesia del nuovo millennio, dovrà avere il coraggio di dirlo, che l’appartamento all’ultimo piano dell’anonima palazzina in corso Roma ha avuto un ruolo pari a quello delle Giubbe Rosse a Firenze. Era il 1996 quando un preside di liceo, Giuliano Ladolfi, insieme a Marco Merlin, fondò la rivista Atelier, con l’intento di cercare «in questo tempo disumano, voci di umanità, parole che siano schegge penetranti, testimonianze di un passaggio memorabile».
L’ambizione di questi «artigiani della parola» si è posta, fin dal principio, in diagonale rispetto alle cricche dei lirici con busta paga sindacale. Sappiamo cosa è accaduto: “Atelier” è diventata una incubatrice di genio, spalancando una collana in cui hanno esordito alcuni dei poeti più interessanti del millennio (Massimo Gezzi, Flavio Santi, Simone Cattaneo, Federico Italiano, Nicola Gardini), la rivista è giunta al numero 75, sopravvivendo al trauma dello scisma. Merlin, assecondando la propria radicalità, infatti, ha lasciato la rivista due anni fa.
Con foga e costanza “militante” e militare, da militi ignoti che combattono per il benessere estetico (e perciò etico) dell’uomo, la rivista alternava la rilettura paziente e salutare del Novecento alla proposta di nuove voci. Questo lavoro «estraneo al mondo dell’accademia» trova una sintesi nell’opera La poesia del Novecento. Una cattedrale critica immensa, in cinque tomi, per un totale di oltre mille pagine, inaccettabile dal sistema editoriale odierno. Perciò Ladolfi se l’è pubblicata per la propria casa editrice, la Giuliano Ladolfi Editore (qui: www.ladolfieditore.it; l’opera completa costa 50 euro), dove perpetua un lavoro di scouting impagabile.
L’opera si distingue per una catabasi nei testi micidiale. Ladolfi antologizza autori canonici e beatificati (da Giuseppe Ungaretti e Dino Campana ad Andrea Zanzotto e Mario Luzi), ripensandoli, nell’ultimo tomo si dedica agli autori ultimi, da Valerio Magrelli e Milo De Angelis fino a Davide Nota, classe 1980, la soglia su cui s’incaglia l’opera critica. Il cui getto, orgoglioso e autonomo, la rende un repertorio unico in Italia.