Brutti, sporchi, cattivi. Cioè filosofi

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Che fosse un tipaccio già si sapeva. Rettore a Friburgo sotto Hitler, estensore del discorso sull’Autoaffermazione dell’università tedesca, e poi quella parola di pentimento che, dopo la Shoah, non è arrivata mai. Molti dicono che le sue opere siano oscure, misticheggianti e pericolose (anche se in genere lo dicono i pigri e i nemici ideologici: i suoi dispositivi concettuali sono sempre riformulabili nel comune linguaggio tecnico-filosofico). Altri se la prendono con lui per motivi in buona sostanza di gossip: la relazione con l’allieva Hannah Arendt, in cui si sarebbe mostrato assai vile, incapace come fu di lasciare la nazistissima cattivissima moglie Elfride.

Adesso risulta che Martin Heidegger fosse un antisemita “ontologico” proprio nella sostanza filosofica. Donatella Di Cesare ha scritto un libro che non fa sconti (Heidegger e gli ebrei, Bollati Boringhieri, pp. 350, 17 euro). E ha aggiunto, dai Quaderni neri in via di pubblicazione, che secondo il filosofo gli ebrei si sarebbero “autoannientati” (in quanto popolo sradicato e “metafisico” agenti della modernità fagocitati da quel meccanismo quantitativo che avevano contribuito a concepire) e che, sempre per Heidegger, i responsabili indiretti dei campi di sterminio andrebbero cercati tra gli alleati. Rei di aver tentato di fermare la legittima missione del popolo tedesco. (qui l’articolo della Di Cesare sul Corriere della Sera)

Ma fin qui, bisogna dire, i Quaderni neri aggiungono poco a quanto si sapeva su Heidegger. La metafisica e la questione della tecnica sono i temi centrali del pensiero del filosofo. la connessione ebraismo-tecnica tra le pagine dei Quaderni neri per adesso sembra più il frutto di un passaggio intellettualistico a campata troppo lunga che di un’analisi circostanziata. La “missione del popolo tedesco” è un vecchio pallino dell’Idealismo (Fichte) che Heidegger riprende pari pari. Quella antisemita è una linea che sta sottotraccia dappertutto, dal cattolicesimo a Kant. Di quel che è stato rivelato finora nulla desta troppa meraviglia.

Come non fa meraviglia, parlando di intolleranze, razzismi, brutalità, allofobie, il fatto che per Aristotele (Politica), gli schiavi sono “strumenti animati”, quindi esseri inferiori. La donna, non avendo l’indole del comando, deve esercitare un ruolo subalterno rispetto all’uomo. I barbari hanno un “carattere servile”. Che per David Hume i negri erano naturalmente inferiori. Pensiero con cui concorda anche Hegel (“Il negro rappresenta l’uomo naturale in tutta la sua barbarie e la sua assenza di disciplina”) il quale, nei  Lineamenti di filosofia del diritto, assegna alla guerra un profondo valore etico, perché “preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”.

Voltaire poi era antisemita, islamofobo feroce, definiva i neri “animali” e i mulatti “razza bastarda”. Perfino Kant, il limpido Kant, colui che ha riportato in una visione illuminista e secolarizzata i principi del cristianesimo (l’altro come fine, mai come mezzo) aveva i suoi odi etnocentrici. L’appoggio di Jean-Paul Sartre a Stalin è cosa più che nota (vedi Umanesimo e terrore).

Ci fermiamo qui, perché potremmo andare avanti per giorni. Ma non si capisce perché, davvero, quel salvacondotto che si chiama comprensione del contesto storico, ideologico o quel che è, per Heidegger NON debba valere, e il filosofo di Meßkirch debba finire sempre inchiodato a una colpa destinale, inesauribile, “etterna”. Oggetto  di una qualche operazione “infinite justice” in ambito filosofico. Non è questo il caso della Di Cesare, ma il tono generale della ricezione dei suoi interventi sembra indicativo.
Detto questo fin’ora il dato complessivo sembra il seguente: chi ha un contenuto da offrire lo fa sempre a prezzo di una qualche ombra o sottotesto horror. In filosofia il lindore e la trasparenza ostentati sono un segnale di mistificazione. In breve: se non sei una brutta persona lascia stare il lavoro di filosofo.

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