Da oggi, ilgiornaleoff.it ospita Cultura a Palazzo, una nuova rubrica settimanale il cui scopo è approfondire un argomento di attualità per testare il livello di attenzione che le Istituzioni riservano a un settore determinante e strategico per la storia, l’immagine e l’economa del nostro Paese, anche se troppo spesso la Cultura è ancora Off.
Un ringraziamento particolare va al Direttore Edoardo Sylos Labini, al Vicedirettore Angelo Crespi, al caporedattore Bruno Giurato e al responsabile commerciale Luna Berlusconi, che hanno creduto nell’iniziativa permettendo la sua realizzazione.
Inauguriamo la rubrica con un simbolo dell’Italia e di Roma nel mondo, recentemente tornato agli onori della cronaca.
Al Colosseo il tempo sembra fermarsi, o quasi…
L’Anfiteatro Flavio, dopo essere stato palcoscenico di combattimenti, centro di manifestazioni pubbliche e luogo di martirio, inizia nei secoli a decadere: durante il terremoto del 1349 crolla quasi completamente la cerchia esterna meridionale, conferendogli quella forma incompiuta che è parte del suo fascino. Diventa fortezza, palazzo nobiliare, cava per la costruzione di Palazzo Venezia, Palazzo della Cancelleria, Palazzo Barberini, il porto di Ripa Grande; se ne ipotizza la trasformazione in lanificio, diventa chiesa consacrata a Cristo e luogo della Via Crucis. L’uso e l’abuso del Colosseo è vecchio di secoli, simbolo di una Roma che “non cessa di ritorcer gli occhi alle deboli vestigia delle sue fuggite potenze, e vi mira sparse per terra le marmoree sue viscere. In quello anfiteatro invece di gladiatori, l’arte con la natura combatte” (Tesauro).
Ancora oggi, scandalizzandoci per i frammenti di pietra che cadono, assistiamo allo scontro tra politica, assenza di tutela e invadenza del degrado. Nella piazza antistante, i turisti si confondono tra legionari e centurioni con daga, smartphone e Swatch, bazar ambulanti, maghi con tunica arancione, faraoni egizi; non mancano i vigili urbani la cui presenza non ostacola l’abusivismo. Ci sono anche i ponteggi del Colosseo, ma il restauro passa inosservato per via dei lavori della Metro C, in un paesaggio ferito di monumenti ingabbiati, escavatori e sbancamenti di fronte ai quali l’anfiteatro quasi scompare.
Il monumento, definito da Obama “più grande di uno stadio di baseball”, riconquista la cronaca grazie a un tweet del ministro Franceschini: «L’idea dell’archeologo Manacorda di restituire al Colosseo la sua arena mi piace molto. Basta un po’ di coraggio…». Aggiunge il ministro: «Senza contrastare con la tutela e la conservazione, si potrebbero selezionare eventi di qualità da ospitare, che avrebbero un valore commerciale enorme, non per il pubblico che ci va, ma per i diritti televisivi, risorse utilizzate poi per fare tutela, restauro e conservazione. Un modo intelligente di valorizzare i beni e non di dissacrarli».
Il tweet sortisce un effetto imprevisto: una “arena mediatica”. Ma cosa propone Manacorda? Restituire al Colosseo la sua arena, usata fino a quando l’invaso non viene scavato e i suoi sotterranei messi a nudo (XIX – XX secolo). Ridare linfa ai sotterranei restituirebbe vita all’arena e all’anfiteatro, «Uno spazio che accoglie non il semplice rito banalizzante della visita del turismo massificato, ma un sito che, nella sua cornice unica al mondo, ospita, nelle forme tecnicamente compatibili, ogni possibile evento della vita contemporanea». Favorevoli si dichiarano Carandini, Presidente del Fai, e Volpe, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e paesaggistici del Mibact; la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma inizia a valutare un possibile progetto di ricostruzione.
Ma c’è chi boccia l’idea: per l’archeologia moderna, la rovina di un monumento è parte essenziale della sua storia, mentre la ricostruzione è un fatto turistico, edonistico, spettacolare e capitalistico. Contrario è Settis, ex presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali: «E’ un momento drammatico per la tutela del patrimonio culturale. Lo Sblocca-Italia contiene norme devastanti e la funzionalità del ministero cala per mancanza di fondi e di personale. In questa situazione, non credo che la restituzione dell’arena del Colosseo sia una priorità ragionevole, anche perché dettata da un’ipotesi di riuso per forme varie di intrattenimento».
Inoltre, per Rossella Rea (direttrice del monumento) «Coprire l’arena richiede un lavoro di ingegneria e di idraulica per imbrigliare l’acqua, vista la presenza di un fiume sotterraneo che, quando piove, esonda e riempie tutto, con la conseguenza di far saltare l’eventuale copertura come un tappo». Occorrono più dei 25 milioni che Della Valle spende per i restauri: «Costerebbe molto meno una copertura provvisoria da utilizzare in occasioni speciali, come per il Giubileo del 1950». Peraltro, dal 1998 l’arena è già coperta per un terzo con legno senza che i piloni poggino sulla struttura e con basamenti di cemento non occultati, soluzione ideale perché nella zona prescelta i ruderi offrono lo spazio necessario a differenza della restante superficie. Che poi, non è un semplice sotterraneo scoperchiato, ma un pezzo di città con il suo fiume, vie, archi, forni, alloggiamenti delle scenografie, vani per ascensori, ovvero “l’infrastruttura” che consentiva all’anfiteatro di funzionare.
E’ suggestivo immaginare un’attrazione turistica unica: il Colosseo attivo e un museo dedicato alla “macchina dello spettacolo”. Ma non è questo il punto, bensì l’idea recondita: considerare il patrimonio un set da affittare, il cui valore è determinato dall’utilizzo possibile piuttosto che da quello intrinseco, si rifletterebbe sullo stesso art bonus svilito da operazioni incentrate più sulla fruizione diversificata che sull’implementazione dell’offerta scientifica; per Italia Nostra Roma trasformare, per puro profitto, i monumenti in luoghi per concerti rischia di danneggiare le strutture e di svilire il valore dei segni del passato. Urge una pausa di riflessione e chiedersi se è necessario che il Mibact si avventuri in una impresa dagli esiti incerti, stante il cattivo stato di salute del patrimonio romano: in primis Domus Aurea, Mausoleo di Augusto, Mura Aureliane. Se la politica è l’arte del possibile, tra i suoi compiti c’è quello di valutare le priorità ed elaborare risposte coerenti nel perseguimento dell’interesse collettivo.
Il Colosseo è museo di se stesso che non dimentica la sua vitalità: non pietre inerti, ma manufatto che riflette, come in uno specchio, la storia su di esso accartocciatasi nei millenni. Il Colosseo non ha porte, è sempre aperto alle novità: Paperon de’ Paperoni in una vignetta del 1992 mostra un cantiere con la Torre di Pisa e il Colosseo imbracati e rivolgendosi a Paperino e ai suoi nipotini esclama: «Ecco ragazzi! Qui sorgerà il mio nuovo, immenso parco dei divertimenti! Paper-world!». Profezia o minaccia?
Benvenuti nel mondo antico in cui va in scena l’arena dei finti gladiatori, dei venditori ambulanti, dei centurioni che si appartano dietro automobili in assenza di “vespasiani” pubblici, simulacri imperiali di antica memoria (anche se a pagamento, da cui il famoso detto pecunia non olet): il Comune di Roma e il Mibact non si curano più dei bisogni degli antichi Romani… e né forse di quelli moderni.