Se i centri sociali innescano la guerra tra poveri

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CentrisocialieditSciandi“Chi da solo denuncia e combatte sti fetiente e sa bene che significa emarginazione, esattamente quanto costa amare un centro sociale”. Era il 1993, quando Zulù (nomen omen), voce partenopea ma non melodica dei 99 Posse, rappava il suo amore antagonista a venature rossonero anarchico – non milanista, per carità: all’epoca Milan era sinonimo di Berlusconi – per i centri sociali okkupati.

I fetiente, per Zulù, erano “chi di questo Stato ‘na gabbia sta facendo”, cioè e’ guardie, i pulotti, gli sbirri. Gli stessi che, non essendo alimentati da “odio mosso da amore” ma da una deprecabilissima obbedienza contrattualistica e forse pure un po’ giansenista (che persone meschine!), hanno osato sgomberare, in questi giorni, due sfavillanti, positiviste e filantropiche realtà okkupate milanesi (probabilmente gli ultimi baluardi culturali di una città che per il resto è nelle mani del vacuo fashion, dell’Expo mafioso e degli infami aperitivi a 20 euro): i centri sociali Rosa Nera e Corvaccio. Se questi nomi non vi dicono nulla, molto male: siete un popolo dormiente, inattivo, disinteressato alle offerte di inclusione culturale, cittadinanza attiva e partecipata.

Soprattutto, non avete meritevoli posizioni politiche antagoniste e aspettate, ignavi, “la sorte o perché no la morte”. Se così non fosse, sapreste molto bene che il Corvaccio e il Rosa Nero non andrebbero chiusi, al pari di tanti altri centri sociali che, non solo a Milano, abbiamo visto sgomberare negli ultimi mesi, reagendo o con sollievo o con assoluta indifferenza. Tutte realtà, queste, che negli anni in cui cantava Zulù quantomeno riuscivano a collaudare una proposta di politica attiva, con un qualche senso (condivisibile o meno), sposata a un’offerta di intrattenimento pseudo culturale e che ora, sebbene sublimino a megalomani fucine di lotta eversiva per il salvataggio del bene comune, sono sempre più isolate. Isolate e sole, come isolati e soli erano i veri eroi, che nell’epica classica facevano quello che dovevano, non quello che volevano, incompresi e bistrattati dai più.

Va bene, abbandoniamo la vena sardonica, prima che qualcuno possa pensare che in questi fighetti con le bombolette spray alla mano e gli slogan con le K nel cervello, possa realmente esistere una qualche ragionevolezza, la cui totale assenza è dimostrata semplicemente dalle recenti giornate di Milano. Sintesi cronachistica: l’Aler, azienda che gestisce le case popolari meneghine, sta procedendo a una serie di ispezioni per notificare gli sfratti agli abusivi e permettere ai cittadini cui sono stati assegnati gli alloggi, di prenderne possesso. In questa normale transazione, i ragazzini dei centri sociali vedono il segno di uno statalismo infame, borghese, predatorio non più sopportabile e quindi, armati di bombolette, bombe carta e immancabili maschere di V per Vendetta, giocano alla lotta di classe, dicono no allo sgombero, sostengono gli abusivi, sproloquiano di diritto all’okkupazione, allo squatting (dopotutto anche Bianca Balti confessò, da Fazio, di aver squattato: lei certo doveva averne avuto bisogno, per purificarsi dal capitalismo e dalla proprietà privata, avendone tanta), senza rendersi conto di accendere la miccia di insensate guerre tra poveri (ma questo lo stiamo vedendo anche a Tor Sapienza, a Roma) e, soprattutto, di non rappresentare nessuno, di condurre battaglie violente, odiose, irrilevanti che, di loro e dei loro bei principi, ci dicono solo una cosa: questi ragazzini non sanno chi sono. Frignano perché non hanno alcun peso, perché non rappresentano nessuno, perché sono impantanati in una crisi identitaria al cui cospetto la sinistra e la destra italiane sono vividi esempi di coscienza di sé.

La retorica di Zulù (che ha fatto una bruttissima fine, peraltro) vicina agli oppressi o anche solo alle persone normali private di diritti semplici, non è in alcun modo ascrivibile a nessuno dei moti di rabbia di questi ragazzetti, nella maggior parte dei casi figli di papà annoiati, che missano l’opposizione alla TAV e il diritto all’alloggio come fossero nachos e patatine, ossessionati dalla visibilità, eppure sempre più invisibili, inutili, bizzosi e violenti, come nemmeno chi è realmente vittima di un’ingiusta ghettizzazione sarebbe legittimato a essere.

1 commento

  1. A Simonetta Sciandivasci darei un piccolo suggerimento. Farebbe un favore alla cultura, quella vera, usando la locuzione CENTRI ASOCIALI per definire quelle bande di farabutti la cui attività, in tutta Italia, è soprattutto caratterizzata da attacchi alla polizia e da un grande disprezzo per la società civile.
    Finiamola di accreditare l’aureola di rivoluzionari a dei semplici mascalzoni analfabeti.

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