«D’Alema campione in carica dei rinnovatori, aspira a diventarne il capo», firmato Bettino Craxi. Chi di rottamazione ferisce, di rottamazione perisce?
Il libro, che Stefania Craxi ha con fulminante tempestività portato alle stampe, raccoglie gli scritti di suo padre dall’esilio ed è un antidoto al nuovismo di moda in periodi di renzismo rampante. Anche l’avvio della seconda repubblica, ci ricorda Craxi, è stato contraddistinto da violente dosi di novità farlocche.
Scrive lo statista socialista: «Sono nuovi, forse, Scalfaro e D’Alema, Fini e Casini, Cossutta e Mancino?» Alla stregua di Tancredi Falconeri, Craxi mostra, quasi quindici anni dopo la sua drammatica fine, che il re è nudo, che la rivoluzione manettara è falsa e «giocata su nuclei della magistratura e dell’informazione». La raccolta di scritti – armonizzata con rigore e attenzione dal curatore, Andrea Spiri – è un diario interessante, inevitabilmente acuto, che per essere adeguatamente apprezzato va collocato nella dolorosa vicenda umana e politica vissuta dall’ex premier socialista.
Sono tante le “bombe” sganciate da Craxi e dovrebbe far interrogare che la quasi totalità di queste dirompenti verità è stata censurata. E con esse la fine dei «27 miliardi concessi dal banco ambrosiano a Paese Sera e poi finiti al Pci», la lettera ruffiana di Rutelli a Craxi, scritta due anni prima che, mutatis mutandis, l’ex sindaco di Roma gli auguri «il rancio delle patrie galere».
E ancora la «memoria corta» sul caso Sme: «De Benedetti acquisisce il gruppo con un esborso minimo». E sarebbe Prodi «l’uomo nuovo»? «L’ottimo amico di Gardini» che «dice di non sapere nulla sul disastro Ferruzzi – Enimont»?
Io parlo, e continuerò a parlare (Mondadori, 2014) è un documento storico con una lezione, attualissima, per il presente e il futuro.