Vogliamo provare a leggere meglio (e magari anche di più)? Allora aboliamo le classifiche di vendita dei libri. Sì: basta con la lista dei top ten pubblicata sui giornali, che indicano soltanto i titoli più acquistati della settimana, e non automaticamente i più letti (è dimostrato che nella lettura dei bestseller spesso non si va oltre il primo capitolo) né tanto meno i migliori, anche se nella testa del lettore-medio scatta automaticamente la falsa equazione: libro più venduto = libro migliore, «quindi un libro che devo leggere anch’io…». Un errore micidiale. Anzi due.
Primo: l’equiparare la qualità di un prodotto alla sua fortuna commerciale – equivoco in cui cade la maggioranza di coloro che acquistano libri – è una ingenuità che nessuno commetterebbe in altri settori. Se chiedete a una persona che fa la spesa al supermercato qual è il vino migliore, vi risponderà con sicurezza, e con ragione, il Brunello. Anche se nel carrello ha una bottiglia di Prosecco. Insomma non confonderebbe mai – come fa coi libri – un vino molto popolare e diffuso con un’etichetta «capolavoro».
Due: i titoli in classifica sono anche inevitabilmente, e comprensibilmente nell’ottica dell’editore-imprenditore, i più pubblicizzati: il bestseller è quello che finisce sulle pagine dei giornali, nelle vetrine delle mega-librerie, in tv (nei talk show invitano nove volte su dieci gli scrittori già in classifica), nel giro dei «salotti culturali» (ai festival chiamano nove volte su dieci i bestselleristi). Col risultato – per la nota legge del gatto che si morde la coda – che all’autogrill e al supermercato si trovano solo i libri in classifica, e con l’effetto di aumentare ulteriormente le vendite, a discapito di tutti gli altri libri (nove volte su dieci migliori). E quindi? Quindi aboliamo le classifiche e magari nel carrello, oltre a prosecchi e Carofigli, finirà anche un Montalcino letterario. Che poi, se impari a bere bene, non smetti più.
10.08.2014