Alessandro “Zuek” Simonetti: il fotografo dell’insolito

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Il twist intrigante della realtà.

di Chiara Brambilla

 

La fotografia di Alessandro “Zuek” Simonetti riporta alla mente l’immagine di un narratore dell’insolito, di quegli aspetti della realtà quotidiana più pungenti, che danno la scossa proprio perché ne fanno parte e sono li, dietro l’angolo ad aspettare di essere trovati “Mi faccio affascinare dalle situazioni difficili da decifrare o che abbiano un twist intrigante, sia che si tratti di uno shooting range a Los Angeles o l’incontro dell’anno di Wrestling in Senegal in uno stadio ricoperto di sabbia, fantini giamaicani o un travestito di Bari”

Qualche giorno fa Zuek ha inaugurato una collettiva a NYC, titolata: “It’s an Invasion” presso il Gramercy Arts Clubed e nel frattempo sempre in questi giorni, sta chiudendo due solo shows in Giappone e a Parigi.

Con in tasca sempre la macchina fotografica Alessandro “Zuek” Simonetti, ha intrapreso diversi progetti negli ultimi anni, Haiti, Jamaica, Miami alla ricerca di quel particolare inserito nel suo contesto sociale per riprodurre al meglio attraverso la fotografia, la stessa vitalità ed energia, questo il senso, il moto per il quale il dito indice continuerà a premere sul pulsante di scatto della camera. Ci spiega: “Ogni progetto ha una sua storia e l’approccio e’ decisamente quello dello street photography/documentary per la maggior parte delle volte. Uno dei miei lavori, è considerato l’ultimo documento di una delle più importanti street dancehalls in Jamaica, al Tivoli Garden di Kingston, prima che questa venisse soppressa dopo una violenta guerriglia urbana contro l’esercito. Le immagini di fatto non raccontano questo evento tragico, ma gli attimi prima che il tutto degenerasse. Sono particolarmente affezionato a questo progetto perché racconta una realtà, culturalmente molto forte in Jamaica, che difficilmente riaffiorerà con la stessa forza di prima”.
Alessandro “Zuek” Simonetti entra in contatto con la fotografia a 16 anni, rivolgendo l’attenzione verso quelle nicchie culturali trasportate in Europa dagli States e delle quali lui faceva parte, riconoscendosi in un gruppo che voleva essere indipendente e lontano dallo standard sociale che li circondava “Queste erano le realtà che vivevo in prima persona.. documentare lo skateboard, i graffiti e la musica hip hop e punk è stato un passaggio piuttosto spontaneo” prosegue Alessandro.

“Avvicinarsi a questo tipo di realtà era piuttosto difficile, soprattutto nella cittadina nella quale sono cresciuto”, racconta Alessandro a ilgiornaleoff “Penso che il gravitare in quegli ambienti mi abbia aiutato a sviluppare precocemente la necessità di creare,di fotografare; arrivare a New York era un chiodo fisso, ma non c’è stato un motivo in particolare per il quale decisi di emigrare… a New York in ogni caso, ho trovato una curiosità da parte della gente che era pari alla mia e penso che sia stato questo il motivo per il quale ho deciso di fermarmi.”

Nel 2005 comincia a balzare tra New York e l’Italia e nel 2007 riesce a stabilirsi negli USA definitivamente.
Fu solo l inizio di un percorso di ricerca e scoperta, “Parto sempre da delle storie, ma con il tempo mi sono staccato sempre di più’ dal cercare di essere esplicativo e didascalico al punto di aver perso la necessità di dover raccontare storie attraverso immagini ma piuttosto di creare singole immagini che possano acquisire una forte componente iconica, mi piace pensare ad immagini che possano durare nel tempo”.

E adesso? Come sta la grande mela? La città che per decenni è stata uno dei motori culturali principali, matrice di tendenze e atteggiamenti che hanno profondamente cambiato diverse generazioni, “Non ho avuto al possibilità di vivere gli anni d’oro della Downtown a NY ma ho visto cambiare NY dal 2005 in maniera piuttosto drastica. Non credo NY sia il perfetto playground per artisti di questi giorni… fermo restando che rimane un fulcro culturale molto vivo e motivante
Senza che nessuno perda la speranza nel trovare ovunque nel mondo qualcosa che più si avvicini alla propria personalità, perché comunque tirando le somme l’importante è il percorso, non la partenza e tanto meno l’arrivo.

 

03.05.2014