Diodato, un artista OFF a Sanremo

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Un CD in uscita e l’approdo all’Ariston nelle nuove proposte.

di Fulvio Paglialunga

Emergente. A trentadue anni. Infatti “E forse Sono pazzo” è stato il suo album d’esordio, titolo vagamente autobiografico, un po’ domanda un po’ presa di coscienza.
Ma Diodato (nome completo Antonio Diodato, ma «la gente faticava a pronunciare tutto insieme, così ho semplificato le cose») non si sente in ritardo, nemmeno nell’era della musica fast food, delle giovani melodie cantate da giovanissimi seguiti da eserciti di piccoli fans, in una sorta di Fiera dell’Est che dura fino a quando non vengono dimenticati.

Lui ci ha messo dieci anni per il primo disco, e ora raccoglie. Premio Deezer come artista dell’anno al Medimex, il Salone dell’innovazione musicale, il successo e, ora, Sanremo. Sezione “nuove proposte”. Nuove, sì. Nuovo è Diodato, che ogni tanto sembra avere una voce simile a quella di Giuliano Sangiorgi, che però non è il suo esempio, avendo Antonio (tarantino nato ad Aosta e romano d’adozione) scelto un’altra strada. Sdrucciolevole – altrimenti pazzo a chi? – come quella del cantautorato rock italiano, genere che o è coraggioso o deraglia nel pop e allora non ci volevano dieci anni per un disco. «Colpa della mia insicurezza, di una timidezza che mi accompagna. Ma anche della voglia di crescere, di presentarmi da maturo».
“E forse Sono pazzo” è un disco promettente, con una buona dose rock in “Mi fai morire”, una buona base cantautorale in “Ubriaco”, momenti subsonici in “Se solo avessi un altro” e l’anima anglosassone (e un po’ Afterhours, altrove ci sono sprazzi di Marlene Kuntz) di “Capello bianco”.
La risposta a fin-dove-può-arrivare è nella cover di “Amore che vieni, amore che vai”, coraggiosa e scelta nella colonna sonora di Anni Felici, film di Daniele Lucchetti.
Disco eterogeneo per necessità: «Racchiude vent’anni. Sono canzoni nate anche in tempi diversi, momenti di vita tra loro distanti». Anni passati in giro per locali, o ascoltando pop e rock inglese (da cui le influenze brit in molti pezzi), o tuffandosi nel nobile mare del cantautorato italiano, iniziando adesso un percorso nuovo: «Sanremo è un piccolo premio al lavoro e forse arriva nel momento giusto: avrò ansia, certo. Ma meno di quella che avrei avuto anni fa».
A Sanremo porta “Babilonia”, brano di passioni e sussurri, con gli archi di Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), con evidente rinuncia a sangiorgismi e dunque con notevoli benefici che non fanno temere svolte nazional popolari (da uno che ha aspettato tanto, poi, sarebbe paradossale: infatti non lo sarà, si accettano scommesse).

Batte un percorso nuovo, asfalta una via interessante. Che all’Ariston potrebbe portare lontano, e anche dopo. Anche a trentadue anni.